335. Quando piove, diluvia (e aggiunte doverose)
Di solito si pensa che la vita ti dovrebbe dare il tempo di assorbire i dolori, almeno per un po’, ma evidentemente non è così, non sempre, non per me.
Per cui ieri, mentre cercavo di non piangere per un po’, mi è arrivata una telefonata che ha tarpato una speranza di risoluzione di quei dannati problemi che mi stanno perseguitando.
Un’altra settimana persa a causa di un cavillo e di una grandissima stronza che, se l’avessi avuta per le mani e non al telefono, avrebbe passato un brutto quarto d’ora.
Così non basta il dolore, non bastano le preoccupazioni già presenti, si unisce il doversi rimboccare le maniche per cercare di farcela.
Di nuovo.
Inutile stupirsi se poi, cercando di distrarmi in giro per Cartoomics, la sensazione è quella di essere anestetizzato da qualunque picco di divertimento o leggerezza possa cercare.
Ci si prova, eh? Ci si prova sempre, ma a tutto c’è un limite e il mio sta venendo bello che superato.
Riflettevo ieri che, pur non essendo stata la mia vita particolarmente facile (e chi legge questo blog da anni o mi conosce di persona lo sa bene), questa settimana può tranquillamente essere messa sul podio come una delle peggiori della mia vita. C’è da vantarsene, non c’è dubbio.
Eppure, nonostante questo o forse proprio per questo, sto avendo dimostrazioni di affetto, presenze vere (anche se a distanza) e non nominali che scaldano il cuore: non solo chi ha attivamente fatto qualcosa per aiutarmi a gestire il dopo morte di Zen (grazie, my friend, sempre e comunque) o chi non ha mancato di scrivermi o chiamarmi ogni santo giorno più volte al giorno da tre mesi a questa parte, ma tante persone che dopo che Zen se n’è andato hanno voluto scrivermi qui, su Twitter, su Facebook, su Whatsapp o, oggi stesso, dal vivo per dirmi quanto dispiacesse loro, quanto mi fossero vicine, quanto comprendessero il mio dolore e alcune, ogni tanto, tornano a chiedermi semplicemente “come stai?”.
Non erano tenute a farlo, molte di loro mi conoscono solo attraverso le mie parole, eppure hanno voluto farsi vive, spesso in privato.
Ecco, queste persone sappiano che ogni loro “come stai”, ogni messaggio mandato per esserci, ogni “ti penso” sono stati importanti: non risolvono, nulla risolve, ma aiutano anche solo per un istante, anche solo per un po’.
Nonostante tutta questa merda, nonostante non sappia ancora se e come uscirò fuori da tutto questo, grazie.
E lo scrivo oggi, quando ancora sono immerso, quando la fusione tra dolore e preoccupazione è tale da stordirmi, perché è importante riconoscere il bene quando si sta male, che è troppo facile farlo quando ormai si è fuori.
Per cui grazie.
Ci sono momenti, e questo è uno di quelli, in cui si avrebbe bisogno di qualcuno che si prendesse sulle spalle tutto quello che non da parte dell’immenso dolore che si sta vivendo, qualcuno che ci dicesse “non preoccuparti, vivi il tuo dolore, vivi questo momento importante come vuoi tu,piangi, ridi, vivi lo come se non dovesse finire mai, al resto ci penso io”.
Ecco poter vivere il tuo dolore senza distrazioni, sarebbe importante in questo momento difficile
Ecco, sì, non avrei saputo dirlo meglio, davvero.
Grazie