234. Poche parole

Dicembre.

Riesco a pensare a pochi mesi così carichi di stanchezza e di ricordi, che si accumulano (anche negli stessi giorni), siano essi splendidi o l'esatto opposto.

La festa del 3 dicembre del 2011.

New York in inverno.

La tradizione del cinema la sera della Vigilia.

Il primo Natale a Milano dopo, praticamente, sempre, cinque giorni dopo averlo perso.

La mia seconda caduta, di nuovo in ospedale, di nuovo col tendine rotto, quel 7 dicembre del 2010.

O quel Natale che finimmo a mangiare al ristorante cinese soli io e lui.

E poi il 3 dicembre di sette anni fa.

Una telefonata.

“Tuo padre è in ospedale con un'emorragia cerebrale”.

Di quel che accadde poi quel giorno e nei 17 giorni seguenti ho ricordi frammentari.

Di ospedali, di notte fatte vicino a un letto, di trasferte obbligate e non volute, di guida sotto la neve, di “come mi hai trovato?”, di “non lo dico ma ti voglio bene”, di nuotate alle dieci di notte per sfogare quel che c'era da sfogare.

Una telefonata.

Poche parole.

Tanto basta per stravolgere (di nuovo) una vita.

 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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