216. Dopo
La verità è che sono stanco.
Stanco di odio, stanco di rabbia, stanco di voglia di distruzione che mi circonda.
Stanco di reazioni di pancia invece che di cervello, stanco di veleno, stanco di “se mi fai male io te ne faccio di più”.
Stanco.
Stanco io stesso di detestare certa gente, di scandalizzarmi, di inorridire.
Oggi non è stato l’odio a spingermi.
Non è stata la rabbia.
È stato il dolore.
Il dolore di chi ha perso un caro.
Il dolore di chi non c’è più.
Il dolore di chi verrà ingiustamente accusato di essere uguale a quegli assassini.
Non ho sentito odio, oggi.
Ho sentito voglia di vita.
Voglia di amare.
Voglia di stringere coloro a cui voglio bene.
Voglia di sentirmi vivo.
“La morte chiama la vita” leggevo tempo fa da qualche parte.
Quanto è vero.
Quanto.
Perché la verità è che non c’è difesa vera contro il terrore, non ci sono barriere, non ci sono contrattacchi, non c’è nulla che ci protegga. Non ora. Non per come stanno le cose.
La verità è che possiamo fare solo una cosa.
Vivere al meglio delle nostre possibilità.
Amare con la profondità di cui siamo in grado.
Smettere di pensare che ci sarà tempo domani per dire un ti voglio bene, uno scusa, un grazie, un ti amo.
Non pensare che ci sarà sempre tempo.
Non è vero.
E io non ci sto a farmi togliere giorni della mia vita dalla paura.
Se dovessi essere sfortunato, se ognuno di noi dovesse sfortunato, qualche bastardo assassino potrebbe interrompere la nostra vita.
Potrebbe, è innegabile.
Ma come l’avremo vissuta fino a quel giorno, quello non possiamo permettere loro di controllarlo.
Io, almeno, non ci sto.
Questo è quanto.
Continuate a odiare, se volete.
Io proverò a continuare ad amare.
Anche e soprattutto per onorare chi non può più farlo.