150. Rubando immagini
Amo le foto.
Decine di volte più dei video.
Uno potrebbe pensare che un video, per sua natura, possa essere il veicolo migliore per salvare un ricordo, ma penso sia vero solo in rari casi: per ricordare voce e gesti di una persona che non c'è più, ad esempio.
Ma il video spesso non è immediato: il suo tempo di fruizione non permette un'immersione immediata nei ricordi, non nel modo in cui le foto riescono a trascinarci dentro di loro e nel passato nel giro di un istante.
Ma, banalità enorme, le foto non sono tutte uguali e, soprattutto, non sono più quelle di una volta.
La possibilità di scattare centinaia, migliaia di foto le ha trasformate da un bene prezioso da centellinare in un materiale di consumo che usiamo e abusiamo senza neanche pensarci: quando un rullino da ventiquattro (o, se si voleva essere esosi, da trentasei) costava sia al momento dell'acquisto che allo sviluppo ci pensavamo parecchio prima di scattare una foto e uno scatto venuto male poteva essere un piccolo dramma.
Eppure non trovo sia un male, non sono di quelli che rimpiangono il passato.
È diverso, com'è giusto che sia.
Però, in questo oceano di foto scattate al volo o per durare, mi accorgo che ce n'è un tipo che non vedo mai a sufficienza e io stesso non scatto quanto dovrei e vorrei, dato che è quello che amo di più.
Sono le foto rubate.
Quelle scattate in un momento in cui nessuno è in posa.
Quelle in cui la gente sta vivendo e la fotografia immortala per sempre un istante di quella vita.
Sono foto in cui nessuno guarda in camera, in cui si ride, si è seri, si fanno smorfie.
In una foto in posa si può fingere di essere allegri, sorridere forzatamente, nascondere un sentimento.
Una foto rubata può cogliere lo sguardo di un innamorato segreto, la dolcezza di un'amicizia, la violenza di un rancore.
Tutto in uno scatto.
Tutto in un istante.
Le foto in posa possono essere meravigliose, sia chiaro: rappresentano il ricordo di qualcosa che abbiamo fatto, qualcuno con cui eravamo, un luogo che abbiamo visto.
Sono una sorta di promemoria, una nota sul diario, una copertina.
Ma le foto rubate vivono.
A distanza di tempo, chilometri, sentimenti.
Vivono.
Sono il tenersi con noi esattamente quel che stava accadendo, anche quando non ce lo ricorderemo più, anche se non sapremo più il motivo per cui stavamo ridendo.
Sapremo che stavamo ridendo.
Sapremo che in quel momento eravamo felici.
Forse ci sentiremo di nuovo in quel modo o ne percepiremo l'eco.
Perché quel giorno qualcuno avrà deciso di salvare quel momento per noi.
Amo i ricordi in una foto: quelle sceme in posa davanti a un dinosauro (ehm), quelle con personaggi più o meno famosi, quelle di gruppo a una cena di amici.
Amo anche i selfie (ok, non tutti, ma non ho nulla contro a priori).
Ma se della stessa cena ci sarà un'immagine di qualcuno di quegli amici che ride e scherza, quella mi rimarrà più impressa. Quella mi rapirà nei ricordi, se mi appartiene, o mi farà percepire le emozioni se non è mia.
È il motivo per cui amo di cuore certe foto di backstage, siano esse di un film, di una serie tv, di un concerto o, ampliando, di un qualunque tipo di evento che abbia portato la gente a riunirsi.
Quegli scatti dove la gente lavora insieme, ride, si riposa, dorme, mangia.
Quelle immagini che ci trascinano lì dentro con loro.
Ti fanno vivere con loro.
Ti fanno invidiare di non essere stato lì, in molti casi.
Quelle immagini sono vita.
Purtroppo, personalmente, non ne ho molte, non quante dovrei e vorrei, ma Miss Sauron me ne ha scattata una del genere poco tempo fa a Londra, mentre stavo scrivendo.
Racconta più di me quella foto che uno qualunque dei primi piani che uso in genere e me la tengo stretta.
Molto stretta.
Perché in quella foto c'è un piccolo frammento della mia vita.