Ovatta
Non sono sicuro di quante persone si potranno immedesimare in quel che sto per scrivere: un mio caro amico di certo, ma perché parlo di una caratteristica che condividiamo e che probabilmente ci ha uniti anche più di quanto già non saremmo stati di natura.
Mi capita di pensarci tante volte e non so perché lo sto scrivendo proprio stasera, ma non mi pongo la questione.
Ci sono volte che vorrei non sentire così tanto le altre persone.
Vorrei non sentire affinità e potenzialità , bellezza e bruttezza interiore.
Vorrei potermi fermare alla facciata e fregarmene di ciò che c’è dietro.
Vorrei poter ignorare l’enorme calore nascosto in tante persone ed il loro desiderio di farlo uscire.
Vorrei poter fare la mia strada senza sentire il bisogno o, peggio ancora, il dolore di chi incontro.
Vorrei non dover sentire la frustrazione di potenzialità mai raggiunte per la troppa paura.
Vorrei riuscire a mentire sulla simpatia o antipatia a pelle che mi trasmette qualcuno e, soprattutto, vorrei che quelle sensazioni non avessero quasi sempre conferma.
Vorrei non sentirmi legato a qualcuno appena conosciuto perché lo sento affine e non dovermi trovare a spiegare il motivo di questa affinità , facendomi magari guardar storto perché “suona strano”.
Vorrei non essere considerato uno stronzo perché non riesco a farmi piacere una persona appena conosciuta e magari tanto simpatica a tutti, senza dover aspettare mesi perché altri scoprano che tanto piacevole non era.
Vorrei vivere in un’ovatta di sensazioni che attutisca ciò che sento quando vivo gli altri.
Vorrei sapere cosa si prova a non aspettarsi dagli altri tutto ciò che potrebbero, ma soltanto ciò di cui hanno voglia.
Vorrei avere la possibilità di farmi piacevolmente stupire da pochi piuttosto che tristemente deludere da tanti.
Certo, questo significherebbe non avere certi legami di cui sono felice, perché nascono da affinità che vanno sentite.
Significherebbe non essere in grado di esserci se qualcuno ha veramente bisogno, o almeno non come ora.
Significherebbe non poter aiutare un amico o un’amica a vedere quanto di bello hanno in sé.
Significherebbe smettere di sentire delusioni, ma anche di entusiasmarmi nel rendermi utile.
Significherebbe non percepire il dolore altrui, ma anche rinunciare alla gioia trasmessa da un sorriso felice.
Significherebbe privarmi della gioia di donare e limitarmi alla brama di ricevere.
Significherebbe non vivere la delusione nel vedere splendide persone buttarsi via, ma anche non provare la felicità di altre che riescono a sbocciare grazie anche ad un braccio amico.
Significherebbe proteggermi da delusioni e dolori, da stanchezza ed astio, senza dubbio, ma il costo sarebbe ciò che sono, nel bene e nel male, e non penso che mi piacerei più.
Eppure certe volte sono tanto, tanto stanco…
Forse questo significherebbe non essere più se stessi.
Onestamente, però, anche a me piacerebbe essere così. Non soffrirei più. Potrei finalmente stare bene. Forse…
Inis
Ogni volta che ho di questi pensieri (cioè ogni fottuto giorno), mi ritorna in mente questa scena:
“Connor MacLeod: Tell me how’d it happen for God’s sake.
Ramirez: Why does the sun come up? Or are the stars just pin holes in the curtain of night, who knows? What I do know is that because you were born different, men will fear you… try to drive you away like the people of your village.”
E anche:
“Connor MacLeod: This cannot be, it’s the devil’s work.
Ramirez: You cannot die, MacLeod, accept it.”
…
Tora.
Non dubitavo che avresti sentito e capito, mon ami…
Aries,sei TROPPO sensibile!
Così non ci arrivi alla vecchiaia. 😀
Mai negato… mai negato…
dio come ti capisco…a volte mi chiedono cos’ho xché dall’esterno puo’ sembrare che non abbia problemi…vorrei anch’io cercare di non “sentire” di non provare il dolore altrui…vivrei meglio…ma forse poi non sarei piu’ io …
Già …
Caspita sembra la mia descrizione!!!!!!!!!!!!!!!
Non so se esserne lieto o dispiaciuto, per certi versi 🙂