Recensioni (occhio, post Extra Large)

 

Un post che copra undici recensioni è veramente lungo, ma onestamente non avevo alcuna voglia di farne undici diversi e meno ancora di postarne una al giorno, per cui vi tocca fare questa indigestione in una botta sola o, se preferite, andare a leggere quelle che vi interessano direttamente sulla mia libreria di Anobii 🙂

Fatto sta che di seguito trovate il resoconto delle letture di queste ultime due settimane, sperando che possa essere un gradevole spunto per gli interessati.

 

E l’uomo incontrò il cane

Konrad Lorenz è a tutti gli effetti il padre fondatore di quella scienza affascinante e fin troppo trascurata che è l’etologia, ovvero lo studio del comportamento animale e, per ampliamento (o restrizione?) dell’uomo.

Chi mi conosce o segue questi miei deliri da tempo sa quanto io ami i libri di Desmond Morris: bene, senza l’opera di un uomo come Lorenz quei libri, semplicemente, non esisterebbero.

In “E l’uomo incontrò il cane” Lorenz si pone un obiettivo semplice eppure enorme: partire dalle basi del rapporto tra l’essere umano ed il suo più leale compagno e proseguire affrontando vari aspetti di tale rapporto sia tramite aneddoti spesso gustosi ed altrettanto spesso teneri, sia tramite una spiegazione scientifica ed obiettiva a determinati comportamenti canini.

E’ un libro piccolo ma dal contenuto enorme che chiunque ami i cani ed in realtà  anche chiunque non li ami dovrebbe leggere per imparare a conoscere meglio questi splendidi animali.

Si legge volentieri e velocemente, tanto che alla fine l’unico dispiacere è che sia tanto breve.

Bello.

E ringrazio Quieteblu che me ne ha parlato tempo fa: io di Lorenz conoscevo ed avevo letto solo “l’anello di Re Salomone” e mi ero perso questa chicca.

 

Tokyo Soup

Incuriosito dalla recensione fatta da Quieteblu ho deciso di provare anch’io questo romanzo di Ryu Murakami e devo dire di trovarmi totalmente concorde con quanto già  scritto da lei nella sua recensione su Anobii.

Se devo proprio aggiungere qualcosa dirò che “Tokyo Soup” è un libro indubbiamente particolare, a tratti pesantemente crudo, in cui il senso di claustrofobia e di catastrofe imminente è chiaramente percepibile; altrettanto evidente e percepibile è il fatto che l’essere umano è capace di adattarsi (quasi) a tutto, anche e soprattutto agli orrori peggiori: è così che il protagonista e voce narrante riesce a giungere alla fine con una parvenza di sanità  mentale; ha affrontato un inferno di cui poteva sospettare l’esistenza ma che non aveva mai incontrato: quell’inferno l’ha toccato e trasformato per sempre, ma non l’ha trascinato con sé, almeno non per ora, e questo può far nascere speranza (si può sopravvivere a quasi ogni esperienza) o preoccupazione (ci si può adattare a qualsiasi orrore fino a non percepirlo più come tale).

Sarà  il lettore a decidere cosa prevale.

Un appunto sullo strillone in copertina del volume, che recita “Una discesa agli inferi del sesso nei meandri di Tokyo”: non sono minimamente d’accordo; lo strillone avrebbe dovuto dire “Una discesa agli inferi nei meandri di Tokyo” perché è vero che il sesso c’è, ma si tratta esclusivamente di un elemento di ambiente, una localizzazione della storia che, in fondo, col sesso ha ben poco a che fare.

C’è molta più solitudine che sesso in questo libro.

E violenza, quella sì.

Comunque mi è piaciuto, se non si fosse capito 🙂

 

I figli di Matusalemme

Leggere “I figli di Matusalemme” dopo aver letto “Lazarus Long, l’immortale” è come mangiare un antipasto dopo aver fatto un’abbuffata della portata principale: buono, certo, ma non quanto lo sarebbe stato mangiandolo per primo.

Purtroppo la situazione delle pubblicazioni in Italia è tale che per leggere “Lazarus Long” ho dovuto dannarmi e procurarmelo su Ebay, mentre “I figli di Matusalemme” è stato appena ripubblicato in Italia da Mondadori.

Se non si fosse capito, questo romanzo è il primo che compone la saga di cui sono protagonisti Lazarus Long e la sua gente, i Matusalemme, ovvero esseri umani che per selezione genetica hanno raggiunto un grado di longevità  assolutamente inimmaginabile per il resto dell’umanità .

Ed è proprio la differenza tra “Matusalemme” ed umani alla base di questo primo romanzo della saga: gli umani, convinti che i Matusalemme abbiano un segreto artificiale per avere una lunga vita, sono pronti a tutto per ottenerlo, persino al genocidio; i Matusalemme, dal canto loro, non hanno segreti da condividere e vogliono pertanto sopravvivere in pace.

La soluzione arriverà  proprio da Lazarus Long, il più anziano, longevo ed irriverente tra la sua gente: i Matusalemme abbandoneranno la Terra e cercheranno di trovare rifiugio su un altro pianeta.

Non rivelo altro della trama, ma mi voglio soffermare su quanto Heinlein sia stato in grado di descrivere la diffidenza della gente comune verso il “diverso” e di come sia ciclico l’odio tra le varie popolazioni.

Un bel romanzo, sicuramente imparagonabile al succitato Lazarus Long, ma un ottimo tassello nell’intera saga.

 

Dovevo andarci

Un libro di racconti può nascere in vari modi: anzitutto può essere una raccolta di racconti di un autore specifico, situazione abbastanza a sé stante, dato che l’unico criterio di scelta può essere qualitativo, cronologico o “di genere”; personalmente preferisco le raccolte complete e cronologiche, ma si tratta di gusti personali.

Poi ci sono le raccolte a posteriori: si decide di raccogliere racconti che abbiano in comune qualcosa (tipo anno di pubblicazione, genere, argomento, ecc…) e si cerca di filtrare il meglio di ciò che si ha a disposizione.

Infine c’è il caso forse più raro, ma anche più rischioso: si chiede ad un gruppo di autori di scrivere un racconto su un certo argomento e, sostanzialmente, si incrociano le dita.

Era avvenuto all’incirca così, con risultati molto gradevoli, con il libro dei sogni di Sandman ed è avvenuto così, ma a mio parere con una qualità  ben più modesta, per “Dovevo andarci”.

L’idea è sicuramente molto carina: 15 autori parlano di viaggi alla ricerca di se stessi o di una particolare meta; dei veri e propri pellegrinaggi, siano essi dell’anima o del fisico.

Definita l’idea, però, il risultato non è sempre dei migliori: certo, ci sono alcuni racconti estremamente piacevoli da leggere e che lasciano un buon sapore in bocca, che aiutano a riflettere o fanno viaggiare il lettore assieme allo scrittore; altri invece lasciano il tempo che trovano o, caso più unico che raro, sono quasi illeggibili.

Sicuramente parte del problema sta nella mia diversa sensibilità  rispetto a chi quei racconti li ha scritti e vissuti, d’altronde è parte del rischio con certi tipi di argomenti, fatto sta che quell’emozione che speravo mi arrivasse mi ha forse sfiorato in alcuni momenti, ma nulla di più.

Senza infamia e senza lode, direi.

 

Buona Apocalisse a tutti

Prendete un Gaiman in versione Douglas Adams dei tempi migliori (grazie al considerevole apporto di Terry Pratchett).

Prendete la fine del mondo: sì, quella descritta nell’Apocalisse con i cavalieri, l’Anticristo e tutto il resto.

Prendete un diavolo un po’ angelico ed un angelo un po’ diabolico.

Prendete un Anticristo inconsapevole ed il suo cerbero in versione mignon.

Aggiungete, tanto per insaporire il tutto, le belle (nel senso di perfette) profezie di una strega, una sua discendente ed un esercito antistreghe composto di due persone.

Condite con demoni vari, suore sataniste e logorroiche, un piano ineffabile che poi forse tanto ineffabile non è o forse sì.

Shakerate con cura e gustate freddo.

Ecco alcuni degli ingredienti base di “Good Omens” (o, in italiano, “Buona apocalisse a tutti”), un romanzo totalmente fuori di testa con degli spunti geniali e tanto, tantissimo humour inglese.

Non è il romanzo della vostra vita.

Non è neanche un romanzo che vi farà  scervellare sul significato profondo della vostra vita (anche se qualche spunto ci sarebbe…).

E’ un romanzo da prendere esattamente per quel che è: sano, sanissimo cazzeggio e, come non bastasse, anche intelligente.

Cosa volere di più?

 

Le tre stimmate di Palmer Eldritch

Voler recensire un romanzo come questo significa volere il proprio male, dato che si tratta di una partita persa in partenza.

Stiamo parlando di un libro leggibile su tanti di quei livelli e con tanti di quegli spunti da non poter essere assimilato in una volta: sono certo che ad ogni rilettura mostrerebbe ulteriori angoli rimasti nascosti in quella precedente.

Ho usato spesso l’aggettivo “onirico” per descrivere sia romanzi di Dick che qualcosa di Gaiman, ma qui l’onirico assurge ad un nuovo livello, quello in cui va a sostituirsi alla realtà  per poi essere anch’esso sostituito da un nuovo livello e da un altro ancora e chissà  quanti altri, sempre che non siano infiniti.

Dick ci porta in un mondo claustrofobico, in cui tutto sembra ormai essere senza via d’uscita: la vita sulla Terra è destinata a peggiorare a causa del surriscaldamento globale che rende ormai impossibile vivere all’aria aperta, ma anche sulle colonie marziane si sopravvive più che vivere, tanto che nessun terrestre ci si trasferirebbe se non precettato e, soprattutto, al punto che ogni marziano ha un solo modo di sfuggire alla propria vita, una droga che gli permette di viverne brevemente un’altra, letteralmente di plastica, ambientata sulla vecchia Terra.

Ed è da questo punto principale che partono tutte le ramificazioni del romanzo: se una droga è tanto forte da rendere un’allucinazione paragonabile alla realtà , chi può dire cosa sia la realtà  e cosa la finzione? E quando, per scopi di entità  ben oltre l’essere umano, la sottile linea che divide universo mentale e fisico viene a cadere cosa succede? Come accorgerci che siamo svegli? Come accorgerci che stiamo sognando? E, cosa più importante, è così fondamentale la differenza?

Non posso raccontare oltre la trama, a cui ho quasi solo accennato, perché semplificarla sarebbe non renderla giustizia.

E’ un romanzo che va letto.

E poi bisogna rifletterci sopra e, magari, rileggerlo.

 

La Principessa Sposa

Quando mi capita di leggere un libro del genere, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti un anno prima della mia nascita, quel che mi viene da domandarmi come prima cosa è: ma come cavolo ho fatto a non leggerlo prima?

Certo, non è sicuramente il romanzo più famoso che sia stato pubblicato e solo ora si trova un’edizione decente grazie a Marcos Y Marcos, ma la frustrazione per averlo letto solo ora rimane.

Detto questo immagino si sia capito che questo libro mi è piaciuto parecchio.

Stiamo parlando, se vogliamo semplificare al massimo, di un libro di avventure “classiche”.

C’è una principessa, la donna più bella del mondo, c’è un feroce pirata, c’è un mago della spada, c’è un gigante, c’è un principe non tanto principesco, c’è un siciliano, c’è un conte, c’è magia e c’è vero amore: ma tutti questi ingredienti del “classico” romanzo di avventura per ragazzi vengono miscelati in un modo talmente nuovo e godibile da diventare qualcosa di totalmente diverso; l’avventura si mischia all’ironia, la storia romantica si fonde con dialoghi brillanti e moderni e lo stesso stile di narrazione, su più livelli con l’effetto “storia nella storia”, diventa un personaggio alla pari di tutti gli altri.

E’ assolutamente impossibile spiegare quanto brilli questo romanzo: va letto o, nel mio caso, divorato; fatevi questo favore e poi, magari, procuratevi anche il film che ne è stato tratto negli anni ’80 (tradotto in italiano come “La Storia Fantastica”), vi farete un doppio regalo.

 

Il sangue dell’altra

Tralasciamo (di nuovo) come un titolo come “Body Double” possa diventare “Il sangue dell’altra” e proseguiamo direttamente a parlare del romanzo.

Penso di aver già  scritto che seguo Tess Gerritsen da diversi anni, quando mi capitò quasi per caso di leggere il suo “Forza di gravità ” (romanzo, poi scoprii, piuttosto atipico rispetto al resto della sua produzione) e, subito dopo, il bellissimo “Il prezzo”: in linea di massima ho sempre gradito i suoi romanzi, pur avendo trovato l’ultimo che avevo letto un po’ debole nello svolgimento, ed avevo voglia di provare ancora qualcosa di suo, possibilità  fornitami proprio da “Body Double”.

“Il Sangue dell’altra” non raggiunge sicuramente i livelli toccati da “il prezzo”, ma è un romanzo più che godibile, ben strutturato, in cui accanto alla ormai “classica” Jane Rizzoli compare un nuovo personaggio femminile, Maura Isles, protagonista quasi assoluta della storia: una storia che parte da una situazione inquietante ed anomala, quella della scoperta di un cadavere in tutto e per tutto identico alla suddetta dottoressa Isles, per poi proseguire non solo nella classica ricerca dell’assassino, ma soprattutto nella ricerca di un’identità  messa fortemente in dubbio: d’altronde non capita spesso di scoprire di avere una gemella di cui si ignorava l’esistenza ed, ancor meno, di trovarla morta sotto casa propria.

Gradevole ed abbastanza avvincente: lontana dai picchi di Deaver o North Patterson, ma continuo a preferirla (per quel che ho letto) alla Cornwell, anche se so che qualcuno potrebbe rabbrividere leggendolo.

 

Nodo di sangue

Avevo letto parecchi pareri positivi sui romanzi di Laurell K. Hamilton con protagonista Anita Blake ed il fatto di avere trovato il primo in edizione Tea mi ha permesso di iniziare ad “assaggiare” quest’autrice.

Anzitutto devo dire che il genere di questo romanzo è difficilmente incasellabile: certo, ci sono vampiri e creature della notte, ma non è minimamente classificabile come horror; direi invece, concordando con Coubert che nei commenti già  accennava una cosa del genere, che si tratta di un vero e proprio thriller ambientato in un mondo soprannaturale.

Se lo guardiamo in quest’ottica il libro è senza dubbio avvincente ed interessante: si notano diverse sbavature, alcune più evidenti (tipo battute ripetute in vari capitoli, piacevoli la prima volta, stoppose la seconda) ed altre meno (in alcuni punti si fa davvero fatica a seguire completamente l’azione o le motivazioni di alcuni personaggi), ma spero si tratti di peccati “di gioventù” che poi verranno corretti nei romanzi successivi.

Nel complesso non mi è dispiaciuto ed il personaggio di Anita Baker è uno di quelli che posso tranquillamente imparare ad amare, ironico e cinico al punto giusto: direi che questo primo romanzo si prende la sufficienza piena, sperando che i successivi vadano in crescendo.

 

Il giardino delle belve

Deaver, come ho scritto tante volte, è uno dei miei thrilleristi preferiti, per cui ho sempre aspettative molto alte nei confronti di ciò che scrive.

Quando poi si avventura su un romanzo tanto atipico per lui quanto questo “Giardino delle belve” allora si aggiunge un rischio aggiuntivo dovuto all”osticità  dell”argomento.

In effetti mi è stato difficile ingranare da subito con la storia: i romanzi ambientati nel passato ed, in particolare, durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno la tendenza ad opprimermi, soprattutto quando, come in questo caso, cercano di delineare gli orrori che all”epoca della storia, le Olimpiadi di Berlino, erano ancora in divenire.

Quindi non un demerito dell”autore ma una mia scarsa sintonia con la vicenda e, soprattutto, con l”ambientazione mi hanno fatto partire a rilento con la lettura: ad un certo punto, però, Deaver si scatena e mette in gioco tutta la sua abilità  ben collaudata sfornando colpi di scena a raffica capitolo dopo capitolo e facendo venire una gran voglia di scoprire come la vicenda andrà  a finire.

Un finale forse un po” troppo buonista ed in qualche punto tirato un po” più via del solito.

Che dire? La sufficienza la raggiunge di certo, ma è un po” lontano dai miei gusti per poter dare di più.

 

I ragazzi di Anansi

Gaiman torna nel mondo già  delineato in American Gods e, percorrendone la falsariga, crea un romanzo totalmente nuovo sia negli sviluppi che nel clima generale.

Dove American Gods tendeva ad essere cupo ed epico nella narrazione dell”incontro tra una natura umana ed una natura divina (e d”altronde non poteva essere diversamente, avendo tra i protagonisti Odino in persona), ne “I ragazzi di Anansi” troviamo un clima all”apparenza più scanzonato e leggero (spesso anche divertente), con scene che sembrano provenire da “Buona Apocalisse a tutti”: scrivo “all”apparenza”, perché in realtà  la trama si dipana in modo tale da far trovare il lettore a farsi molte più domande di quante credesse all”inizio.

Come dicevo, in American Gods avevamo Odino ed il suo piano, qui abbiamo Anansi, Dio-Ragno africano cui appartengono tutte le storie, e la sua inconsapevole (o quasi) discendenza.

In American Gods c’era un uomo come Shadow che doveva in qualche modo trovare un modo per rinascere dalle ceneri di una vita passata, in Anansi c’è “Ciccio” Charlie che devo sollevarsi da una vita tanto mediocre da non permettergli neanche di rendersene conto.

Di nuovo un bel viaggio nei vari mondi: quello che noi chiamiamo reale, quello dei sogni, che spesso è più reale del nostro, e quelli dei vari Dei presenti, passati e futuri, che finiscono per coesistere e convivere in modi spesso imprevedibili ed inintelleggibili.

Bello.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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2 risposte

  1. Coubert ha detto:

    Tokyo Soup e Dick messi nella wishlist.

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