Mezzo secolo
Quando avevo più o meno 7 o 8 anni un’amica (o conoscente? Vai a saperlo) di mia madre mi lesse la mano – perché in casa mia solo scienza vera – e mi disse che sarei morto a 37 anni. Ora, a parte il genio che può avere una persona per dire a un bambino una cosa del genere, posso ragionevolmente affermare che si sbagliava e non di poco.
Oggi sono 50.
Che numero assurdo.
C i n q u a n t a.
Com’è possibile?
Sembra ieri che mi stupivo di riuscire a mantenermi col mio lavoro (oddio, a volte me ne stupisco ancora, ma non sottilizziamo).
Sembrano passati pochi giorni dai ricordi di bambino, dalle prime cotte con annesso due di picche, dal primo amore (ciao, Roby), dal diploma, dall’università.
Dalle mille vite diverse che ho vissuto.
E se sono state mille diverse non possono essere pochi giorni, in effetti.
Ma 50?
Non bisognerebbe avere la testa sulle spalle, avere tutto sistemato, essere personcine a modo a cinquant’anni?
Fare solo acquisti maturi e sensati, parlare esclusivamente di argomenti seri o seriosi, avere una famiglia tradizionale (che il governo in carica ci tiene), magari con due o addirittura tre figli che ti ricordano l’età che avanza e una seconda casa per i week-end?
No, perché se è così io come cinquantenne mi sa che ho un po’ fallito.
Sto scrivendo queste righe con la maglietta di Venom, dopo aver fatto un aperitivo con patatine e coca cola ed essermi ordinato un enorme modellino come auto regalo. Casa mia è piena di materiale nerd, al punto da poterne fare un museo.
Non ho una famiglia, sicuramente non una tradizionale.
Ho due gatte. Una delle due mi sgrida se dopo pranzo non la faccio venire in braccio a farsi coccolare sul divano. L’altra aspetta che io giochi con la PS5 (ho 50 anni, no?) per dormire in mezzo alle mie gambe.
Faccio un lavoro più o meno serio, ma lo faccio a modo mio. E nel frattempo mi sono reinventato mille volte. Ho reso ciò che era una passione che mi rendeva sfigato in quella che è stata la fonte del mio essere “riconosciuto” da un pubblico più ampio. Ricordo ancora mio padre che cercava supporto in fumetteria una volta che mi accompagnò, giusto per farsi confermare che io effettivamente non ero a posto. Non gli andò bene. Chissà che penserebbe ora, se sapesse che ogni volta che esce un episodio ci sono decine e centinaia di persone che vogliono ascoltarmi.
Chissà.
Già. Mio padre e mia madre.
Sono più vecchio di quanto lo fossero quando sono nato. Mio padre ne aveva 39, mia madre 37. Eppure a guardare le foto sembrano ancora più vecchi loro. Altri tempi? Forse.
Eppure sono 50. E faccio fatica a rendermene conto, perché sinceramente non me li sento. E non per quella cosa triste del volersi sentire giovanile (niente di più in contrasto con l’essere giovani dell’essere giovanili, comunque), semplicemente perché tutte le cose che associo ai 50 anni io non le sento mie. Inclusi molti degli altri 50enni. Sì, ho amici anche più vecchi (ciao Beppe), ma ne ho molti ben più giovani e mi trovo perfettamente a mio agio con tutte le età in mezzo. Perché ci capiamo. Perché ascolto. Perché imparo. Perché non mi sono seduto e non mi sono fermato e non mi basta.
Non mi basta.
Questa è forse la verità più grande: non mi basta. Non mi basta ciò che ho letto, ciò che ho visto, ciò che ho imparato, ciò che ho costruito. Non mi basta quanto ho vissuto, amato, odiato, riso, pianto, mangiato, dormito, cazzeggiato, litigato, fatto l’amore.
Quando avevo 30 anni un’amica mi disse che ero il trentenne che aveva più riempito la vita che conoscesse.
Non è cambiato, credo.
Non mi basta. Non mi basterà.
Però sono 50 e fisicamente qualcosa si sente. Negli occhi. Nei dolori. In qualche stanchezza. Ci sono, è innegabile. Ma sono intenzionato a dare loro lo spazio minimo possibile.
Però ci sono e sono lì per ricordarmi che i 50 sono arrivati e, salvo casi particolari che stupirebbero me in primis, il tempo che ho dietro di me è più di quello che ho davanti a me. Senza drammi, senza retropensieri, ma è un dato di fatto. Ed è per questo che quel “non mi basta” diventa anche una condanna. Agrodolce, ma resta tale. Perché a ogni nuovo desiderio, passione, curiosità, si affianca il dubbio che potrebbe non esserci abbastanza tempo per tutto. Ed è la verità. Potrebbe.
Quindi? Mi arrendo? Mollo il colpo? Smetto di sognare e progettare? Ma neanche per sogno. Non sono così, non sarò mai così se non – forse – il giorno che sarò davvero pronto ad andarmene. Forse.
Ma, ecco, lasciatevi dire da questo cinquantenne che sono sempre più convinto che “prima o poi” vada buttato nel cesso. Che “c’è sempre tempo” sia una menzogna di cui liberarvi il prima possibile.
Ne ero convinto a 22 anni, quando persi mia madre, lo ribadivo a 28, quando morì la sua migliore amica, lo ripeto oggi. Fate le cose ora. Se potete fatele ora.
50. Su, dai, fatemelo ripetere, tanto lo scriverò solo in questo post. Quanti me stesso ci sono stati? Quanti amori? Quante lacrime? Quante conquiste? Quante cadute?
Sono stato il secchione preso in giro, il perdutamente romantico, il figlio da esibire come trofeo, quello da punire a ciabattate, quello che a un certo punto poteva reagire e lo faceva, quello che scherzava, quello che non tornò a casa per un discreto in un compito in classe, quello che svenne al suo primo prelievo, quello che mise storto il suo primo preservativo, quello che dormì in parcheggi autostradali per passare un giorno in più con la persona che amava, quello che si sposò a 25 anni e divorziò due anni dopo, quello che non perdeva una cena forumista, quello che si vide truffare e portare via un’auto, quello che ha vissuto 35 anni pensando di essere figlio unico, quello che ha dovuto aprire un fundraising e ha scoperto quante persone erano pronte ad aiutarlo, quello che si è rotto due volte il tendine rotuleo, che ha perso 20 kg e li ha ripresi tante volte da aver perso il conto, quello che una volta era timido e poi è diventato faccia da culo, quello che spesso e volentieri veniva sottovalutato, ma poi di rivalse ne ha prese eccome, quello che a 18 anni scriveva poesie d’amore capaci di innalzare la glicemia di un cadavere.
Quello che ha visto New York per la prima volta a 35 anni, che è stato lì tre volte, che ha Londra e Lucca nel cuore, che prima o poi tornerà a Parigi anche solo per Disneyland, che è stato a Roma più volte di quante avrebbe pensato, che avrà sempre un pezzetto di Cesenatico in sé, che è cresciuto diviso tra città e campagna, che ha scoperto di saper scrivere quando aveva 30 anni e non ha più smesso da allora, quello che a 25 anni insegnava in una scuola superiore, a 26 in università e per anni ha insegnato a migliaia – letteralmente – di persone. Quello che ha scritto migliaia di post su questo blog, decine di racconti e un romanzo che nessuno si degna di pubblicare ma che ogni persona che l’ha letto l’ha amato (sì, per una volta me lo dico da solo).
Quello che ha viaggiato a Londra anche solo per uno spettacolo, che ha celebrato un matrimonio, che ha comprato un biglietto del treno alle 4 del mattino per partire alle 9, che ha passato più di un anno in giro per l’Italia a fare il nomade digitale e a riempirsi il cuore. Quello che sa costruire muri per proteggersi, ma cerca di abbatterli appena possibile, quello che ci sarà sempre per qualcuno a cui tiene, perché esserci è un dei modi più importante di volere bene.
Quello che ha amato, ama e amerà ogni volta di più, che non smetterà mai di farlo, che non sa vivere senza amore in ogni sua forma, qualunque sia il suo costo, la sua forma e il prezzo da pagare, quello che si chiede come sarà tra 10 o 20 anni, supposto che ci arrivi, che ha abbracciato la solitudine, ma che la teme ogni singolo istante.
Quello che “a volte quando cadi voli”.
Quello che ha un testamento scritto perché non si sa mai.
Quello che ha fatto i primi tatuaggi a 37 anni, ora ne ha 4 e ne programma almeno altri due.
Quello che invece di “perché?” ha imparato a chiedersi “perché no?”. E quasi mai c’è una risposta valida.
Quello che piange ancora per ogni animale che ha perso e il solo pensiero che le sue pesti possano restare senza di lui lo devasta. (Funi 1,2 & 3, Kimba, Miele, Lupo, Lucky, Stitch, Zen, Sheppard, ma anche Rooney e Pucca, mi mancate così tanto…)
Quello che ha voluto bene a tante persone, ne ha perse molte e alcune di queste gli mancano tantissimo.
Quello che ha vissuto più lutti di quanto sia giusto, che ha visto morire suo padre, che ricorda ogni singolo istante e respiro di quella notte.
Quello che ha iniziato a scrivere recensioni per sfida e ha finito per farne un migliaio, ha aperto un podcast perché sì e da allora ne ha fatti 5, ha migliaia di ascolti e ha una passione che ancora non lo molla.
Quello che si chiede sempre cos’altro potrebbe imparare e come potrebbe reinventarsi.
Quello con cui si può parlare di fumetti, serie tv, anime, ma anche di politica, femminismo, sessualità, astronomia, paleontologia.
Quello che ha trascorso una sera di qualche giorno fa a dare i nomi ai dinosauri del bambino di una cara amica.
Quello pronto a farvi fare una serata a guardare le stelle col suo telescopio.
Quello che con Rent e Hadestown ha il magone.
Quello che se ti chiede come stai lo vuole sapere davvero.
Quello che magari ha standard alti, ma sono gli stessi che esige da se stesso.
Quello che non sa tenersi vicino persone per cui non ha stima alcuna.
Quello che raramente se si guarda allo specchio si piace. Ma se si guarda dentro, di solito sì.
Quello che troppe persone non hanno voluto vedere, ma chi ha deciso di farlo, beh, ha saputo farlo bene.
Quello che è grato di chi ha ora nella sua vita, del bene che sa di ricevere e che spera di trasmettere allo stesso modo.
Quello che si chiede cosa penserebbero i suoi genitori di lui.
Già.
Cosa pensereste di me, oggi?
Io lo so che litigheremmo.
So che penseremmo diversamente su molte, troppe cose.
Che probabilmente mi vergognerei di certi vostri pensieri.
Ma mi chiedo: sareste fieri dell’uomo che sono diventato? Di chi ho costruito? Di chi ho voluto essere? Di chi vorrò essere domani?
Forse.
Forse no.
Ma sapete una cosa? Vedendo cosa ho costruito. Vedendo chi ho intorno. Vedendo chi mi stima. Vedendo chi mi vuole bene. Vedendo ciò che spero di avere lasciato in almeno qualcuna tra le persone presenti e passate.
Ecco.
Vedendo tutto questo, forse se domani non dovessi esserci più vivrei in qualche ricordo piacevole. E se è così, forse questi cinquant’anni non li ho sprecati.
Forse proprio no.