98. Il Mondo Nuovo (Andata e Ritorno)
Qual è lo scopo ultimo dell’essere umano? Sospetto che molti risponderebbero la felicità. In fondo non è ciò che tutti noi cerchiamo? Non è lo scopo della nostra ricerca quotidiana, l’appagamento che otteniamo nel raggiungere qualcosa che abbiamo anelato o costruito mattone dopo mattone non è la porta verso quella sensazione di esaltazione che può durare anche solo pochi istanti?
Ma qual è un prezzo accettabile per rendere la felicità alla portata di tutti?
A cosa saremmo disposti a rinunciare in suo nome?
Huxley immagina un mondo in cui tutti sono felici o, per essere precisi, tutti sono progettati per essere felici: la manipolazione genetica e il condizionamento prenatale fanno sì che ogni individuo sia progettato esattamente per lo scopo che dovrà avere nella società. Coloro che saranno progettati per essere poco più che bruti saranno felici di fare solo lavori manuali, quelli creati per essere di classe superiore non considereranno mai neanche lontanamente la possibilità di fare un lavoro diverso da quello per cui sono stati condizionati.
Tutti progettati per rientrare in una casella, in un ruolo da cui nessuno potrà mai uscire, perché la società stessa lo espellerebbe. Ma la felicità di cui parliamo non è volta alla soddisfazione dell’individuo, bensì al mantenimento di una stabilità sociale. Tutto è programmato, tutto è studiato perché nulla cambi, perché ogni singolo elemento della società consumi il più possibile, viva passivamente secondo le regole definite in secoli di studi affinché si ottenessero i risultati più stabili e meno destabilizzanti possibile.
I sentimenti vengono più o meno neutralizzati. L’amore come tale non può esistere se la società ritiene che tutti appartengano a tutti e che legarsi troppo a una sola persona può essere innaturale (rappresentazione che, si badi bene, non tiene conto dei concetti di poliamore che quasi sicuramente l’autore non aveva neanche mai sentito nominare), mentre ogni forma di legame familiare viene meno quando l’unica riproduzione accettata è quella in vitro gestita globalmente.
Quindi felicità non per il benessere dell’individuo, bensì come strumento di manipolazione delle masse. Se non ci si rende conto di ciò che si è perso si finirà per non sentirne la mancanza, se si rimarrà immersi abbastanza a lungo in un ambiente con un solo messaggio, quel messaggio diventerà l’unica realtà possibile.
A questo prezzo la felicità è ancora il nostro fine ultimo?
O, forse, ciò che la rende così preziosa è il modo in cui la raggiungiamo, il percorso che facciamo per inseguirla e anche i fallimenti che possiamo incontrare lungo il percorso?
Emozioni che anche nel Mondo Nuovo si riconoscono come necessarie, tanto che vengono periodicamente prescritte medicazioni di ”Passione Violenta” o ”Simulatori di Gravidanza”.
Quindi ogni singolo aspetto della vita di un individuo è progettato attentamente affinché sia produttivo e consumatore e anche ciò che dovrebbe essere incontrollabile diventa elemento di manipolazione avanzata.
Di nuovo la domanda: a questo prezzo la felicità è accettabile, se non si è consapevoli di ciò che si è perso?
Huxley la fece nel 1931, ma non fu certo l’ultimo.
Il dilemma della pillola rossa e della pillola blu in Matrix è esattamente la stessa cosa, solo riproposto in modo diverso.
Molti, da che ne sento parlare, hanno detto che il romanzo di Huxley è stato precursore e lui stesso, nei saggi de ”Il ritorno al Mondo Nuovo” ama darsi parecchie pacche sulle spalle in un tono che troppe volte fa voglia di chiudere il libro e mandarlo a quel paese, soprattutto con le conoscenze moderne.
Ciò che è indubbio, però, è che Il Mondo Nuovo ci mostra elementi e spunti che tutt’ora sono alla base di molto di ciò che viviamo. Manipolazione di massa, influenzamento tramite messaggi ripetuti, illusione di felicità. Ma il mondo in cui viviamo ora non è Il Mondo Nuovo, così come non è 1984 di Orwell. Se proprio volessimo trovare similitudini dovremmo fare una fusione di romanzi più o meno distopici disturbano Huxley e Orwell, sicuramente, ma anche Dick, Sterling e per certi versi Heinlein. Purtroppo mai Asimov e di questo non sottolineerò mai abbastanza quanto io mi senta defraudato.
Ma detto questo, il romanzo in sé com’è?
Dimenticabile.
La storia è debole, nessuno dei personaggi veramente interessante, non c’è un vero sviluppo di nulla. Quella che Huxley chiama favola non è altro che una scusa per mostrare questo suo ”Mondo Nuovo”, con vari momenti estremamente didascalici che raggiungono l’apice con il personaggio ”superiore” che, in modo ben poco originale, diventa la voce dell’autore e fornisce lo spiegone definitivo.
No, Il Mondo Nuovo non è diventato sicuramente famoso per la sua storia e può essere interessante per l’idea (parzialmente) distopica mostrata, ma per quanto mi riguarda è uno di quei testi che si rischia di leggere fuori tempo massimo e io sicuramente ho superato quel tempo.
I saggi a seguire, come dicevo, aggiungono soltanto una serie di considerazioni (alcune molto irritanti, qualcuna risibile, poche veramente interessanti) che l’autore ha voluto aggiungere mentre si faceva una buona quantità di pacche sulle spalle.