41. Cambiare
Non so quanti lo notino di solito, ma in fondo a ogni post ci sono i link a tre altri post correlati. Non è una scelta attiva che faccio io, ci pensa direttamente wordpress andando a lavorare su categorie e, suppongo, contenuto del testo. Non ho mai approfondito, ma suppongo sia così.
Quando ho pubblicato il post sulla grassofobia qualche giorno fa mi è caduto l’occhio su uno degli articoli che erano indicati come correlati: era del 2007, il blog non aveva neanche un anno, e parlava delle celebrazioni dell’8 marzo.
Era un post indegno.
Lo scrivo direttamente, senza mezzi termini, perché non voglio ci siano dubbi su cosa penso al riguardo. Quando l’ho letto mi sono arrabbiato con me stesso: come avevo potuto scrivere un qualcosa di così banale, disinformato, superficiale e supponente?
Come avevo potuto approcciare un argomento così importante in un modo che, se lo leggessi ora scritto da chiunque, mi farebbe ribollire il sangue?
È possibile che ai tempi fossi ancora così pieno di luoghi comuni e di merda da non rendermi conto di ciò che stavo scrivendo?
La risposta, ovviamente, è sì, dato che quel post è lì a testimoniarlo.
Quindici anni fa ero qualcuno che scriveva certe cose. Peggio, ero qualcuno che quelle cose le pensava e l’unica cosa che posso fare è prenderne atto e accettarlo.
Quello che mi fa riflettere è che già allora non ero sicuramente una persona con idee opposte alle attuali, eppure avevo ancora così tanto da imparare da scrivere quella schifezza: avevo la necessità di sapere molto di più, di ascoltare molto di più, di assimilare molto di più.
Certo, se oggi quelle parole mi risultano così aliene vuol dire che un percorso è stato fatto e che molta di quella stratificazione è stata tolta e di questo non possono che esserne felice. Forse anche fiero, ma non voglio montarmi la testa.
Ma c’è altro.
C’è il rendermi ulteriormente conto che il percorso non finisce davvero mai, che avremo sempre davanti a noi nuovi sguardi da applicare a ciò che pensiamo di sapere, nuove diversità da accogliere, nuove consapevolezze da aggiungere al nostro bagaglio, anche se questo dovesse significare smantellarne altre.
C’è la speranza. Perché io, quando ho scritto quel post, ero convinto. Ero pure supponente, ribadiamolo. E se ero così convinto e ho imparato che le cose stavano molto diversamente, allora forse davvero si può sperare che molti altri lo facciano. Non voglio pensare di essere così speciale. So di non esserlo. La differenza è semplicemente la volontà o meno di ascoltare e imparare. L’empatia. Solo quella.
Una domanda che potrei ricevere e che ho valutato anch’io: perché non cancellare o nascondere quel post? Se non mi rappresenta più, se addirittura mi fa imbestialire leggerlo, perché lasciarlo? Non sarebbe meglio farlo sparire?
Ribadisco, ci ho pensato. Una parte di me è stata tentata di farlo perché mi disturba l’idea che si possa vedere incoerenza in ciò che scrivo o in ciò che sono. Ma quel post è di quindici anni fa. Io sono un’altra persona. La mia vita è cambiata tante volte che ho perso il conto. Quel post rappresenta, evidentemente, una parte di ciò che ero allora, non chi sono oggi e chiunque possa pensare il contrario dovrebbe approfondire il concetto di crescita personale.
Lasciare quel post significa dire: sì, c’è stato un periodo in cui ero così. Ora non lo sono più. Ma quello che sono è figlio di ciò che ero e cercare di ricordarsi questo può servire ad apprezzare la strada fatta, magari a dare un piccolo esempio e, soprattutto, a non spaventarsi quando abbiamo altra strada davanti a noi.
Quel Sergio, per fortuna, non esiste più.
Ora ci sono io, che ho imparato da almeno alcuni dei miei errori.
Domani, spero, ci sarà qualcuno un po’ migliore.
O almeno ci si prova.