5. L’essenza
Sto scrivendo da una stanza di residence di una città che non avevo mai visitato prima: il vantaggio di poter lavorare praticamente ovunque abbia una connessione fa sì che questa situazione si sia presentata quasi ogni settimana negli ultimi mesi, uno di quei tanti cambiamenti di cui parlavo.
Ho pranzato in un luogo che non conoscevo e che, nonostante questo, è stato testimone dell’inizio di tutto, mentre nei giorni passati ero altrove, in luoghi più conosciuti, di nuovo a mischiare presente e passato. Le esperienze mie e non mie si sovrappongono e si mescolano, influenzandosi a vicenda.
E, sebbene ovviamente sia stancante e domani mi aspettino qualcosa come sei ore di auto più o meno, si tratta di una di quelle cose che fai perché ne vale la pena, perché ti fanno sentire vivo, perché soprattutto non trovi una risposta sensata al “perché non dovrei?”, una che veramente riesca ad attecchire. E finché quella risposta non c’è te la vivi così, com’è giusto che sia.
Che poi giornate come queste, che non sono per niente esenti da impegni lavorativi non solo miei (anzi, in particolare non miei), ti ricordi di quanto il bello sia in realtà facile da trovare: tolte le seghe mentali, tolte le ombre che a volte sono reali e altre no, tolto quello che a volte è un troppo parlare, altre un troppo pensare, altre un troppo e basta, resta la sostanza, la bellezza, il calore, la voglia di stare bene.
Lo stare bene.
A volte, e lo ripeto a me per primo, bisogna ricordare l’essenza delle cose, ciò che sono nella loro natura più pura tolto tutto ciò che si accumula addosso, permettere loro di esprimersi, di avvolgerci, di dirci cosa sono e, insieme, chi siamo noi. Non è detto che funzioni sempre, ma spesso aiuta e di molto e di sicuro non fa male.
Perché è la loro sostanza, in fondo, a ricordarci che non c’è una risposta valida al “perché non dovrei?”.