Racconto: Solo un po’ più a lungo

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Capita che arrivino flash, immagini che passano per la testa e mettono radici, non decidendosi a schiodare. Non sono vere e proprie idee, neanche spunti, ma una sorta di seme da cui qualcosa deve nascere. Quel qualcosa può essere un post o, in altri casi, un racconto che – all’inizio – neanche sapevi che cosa avrebbe narrato. Questo è uno di quei casi e la forma assunta da questo testo è di un momento, una fotografia, uno scorcio in due vite, in un evento, in qualcosa che sta avvenendo.

Ci sono spazi che rimarranno vuoti, domande a cui potreste rispondere soltanto voi, sensazioni che saranno solo vostre, o almeno così spero.

Soprattutto spero che sarà di vostro gradimento, come sempre.

Se potete ascoltatelo con questo pezzo in sottofondo. Leggendolo capirete perché.

Solo un po’ più a lungo

Hold on just a little bit longer…

I contorni della massiccia figura maschile seduta sotto il faro spento si intuiscono a malapena.

La luna, comunque ridotta a una minima falce, si nasconde tra le nubi spesse, facendo capolino in rari momenti: lei e qualche fuoco lontano posto più per ingannare il nemico che per reale utilità contrastano il buio di questa notte.

Ciononostante i suoi occhi non si stancano di muoversi lungo l’orizzonte, dai monti alla sua destra che definiscono la fine della baia al mare aperto davanti a lui, fino alla striscia piatta alla sua sinistra, come se il suo sguardo potesse notare qualcosa in più delle strumentazioni.

Vecchie abitudini, si dice, scrollando mentalmente le spalle.

Un po’ come quando una volta si continuava a guardare il telefono in attesa di una telefonata o di un messaggio che non arrivavano.

Solo che stavolta sarebbe meglio non arrivasse nulla, ma già sa che ormai quella speranza è bella e defunta. Non si tratta di chiedersi se, ma quando, e quel quando non sarà di più che poche ore.

Sospira.

Sing on just a little bit longer…”.

Il coro in lontananza è quasi incomprensibile, ma il vento ne porta alcune parole, abbastanza perché la sua mente faccia il resto.

Si scopre a mormorare quella melodia controvoglia e si odia per questo.

Si odia anche per questo.

Cerca di concentrarsi sul rumore delle onde che si infrangono sotto di lui, sulla salsedine che gli penetra le narici, ma è tutto inutile: quella maledetta canzone non gli si toglie dalla testa.

Sospira di nuovo, profondamente.

– Jerry? – domanda alla persona che ha sentito avvicinarsi dietro di lui, senza voltarsi. Se questa è stupita di essere stata notata non lo dà a vedere.

La nuova arrivata annuisce come se lui potesse vederla, prima di parlare.

– Mi ha detto che ti avrei quasi sicuramente trovato qui.

– Vecchio impiccione. – sbotta lui, suonando più irritato di quanto in realtà è.

– È preoccupato per te. E anch’io lo sono. – risponde lei a bassa voce, quasi a non voler disturbare il resto della notte.

Lui non risponde.

Continua a non voltarsi.

Chiude gli occhi.

Lei si siede vicina, ma non accanto.

Aspetta.

Un respiro profondo dell’uomo arriva dopo interminabili istanti.

Scuote la testa.

– Non c’è nulla di cui preoccuparsi, non hai sentito? Eri presente anche tu. Va tutto bene, siamo tutti al sicuro e mio fratello è morto per un incidente. Non c’era bisogno venissi. Torna pure da loro e unisciti al coro.

Lo sguardo di lei non gli si toglie di dosso, lo percepisce anche senza voltarsi. Può intuirlo, ne conosce l’intensità, la sensazione che lo stia giudicando.

Come possono avere imparato a capirsi così bene in così poco tempo?

– Scusa – (lui che si scusa, questo sì che divertirebbe Jerry) – non volevo.

Lei abbassa lo sguardo, si volta a guardare verso l’orizzonte, imitandolo involontariamente.

– Invece sì. – fa una pausa, poi sorride lievemente – Ma scuse accettate.

Restano in silenzio.

– Non mi hai mai detto perché odi quella canzone. Non è bello avere un po’ di speranza?

– Ah – sbotta – la speranza! La fondamentale, onnipresente, invincibile speranza! – il tono è sarcastico, il volume più alto, stavolta non si scusa.

– Sam…

– No, no, hai ragione. La speranza ci salverà. Ha salvato le missioni di accoglienza. Ha salvato i miei genitori. Ha salvato mio fratello. Tutti salvi. Loro cantavano quella maledetta canzone e quelli li sterminavano.

– E quindi qual è la tua soluzione? Ci uccidiamo tutti e la facciamo finita? – ora è lei ad alzare la voce. Lui cerca di non pensare a quanto gli piaccia quando discutono.

– Almeno faremmo qualcosa. – risponde senza neanche crederci e, prima che se ne accorga, lei gli sta porgendo il suo coltello di famiglia.

La guarda perplesso, illuminato da un momento in cui la luna si è fatta meno timida.

– Cosa aspetti? Fallo, allora. Almeno raggiungerai tuo fratello e la smetterai di incolparti.

Quell’ultima parola lo scuote.

Perché accidenti è così brava a leggerlo? Chi gliel’ha permesso?

Si risiede, non le risponde, non sa che dire.

– Non è colpa tua. Hai fatto di tutto per avvisarli. Ti ho vista io stessa cercare di convincerlo. Non è colpa tua.

Sa che se rispondesse adesso lo farebbe in lacrime ed è l’ultima cosa che vuole. Se iniziasse ora non smetterebbe più.

– Sam… – insiste lei.

– Forse hai ragione. Forse. Forse no. Non lo so. So soltanto che siamo qui e che domattina tutto potrebbe essere finito solo perché nessuno si decide ad accettare il pericolo. E cantano.

– La gente canta perché ha paura. Perché sa che c’è il pericolo. È questo che non vuoi capire. Sì, c’è chi si è convinto che quella canzone fosse una preghiera miracolosa, ma non sono tutti così. Non siamo tutti così.

E inizia a cantare a bassa voce.

Hold on just a little bit longer… hold on just a little bit longer…

– Smettila!

Sing on just a little bit longer… Pray on just a little bit longer…

– SMETTILA! – le urla afferrandole una spalla.

Si fissano negli occhi, i volti a pochi centimetri, chiunque altro sarebbe stato spaventato dalla sua reazione, ma lei no. Lei mai.

La furia di lui si smorza immediatamente, fa per staccarsi.

Lei lo ferma.

Di nuovo si sente preso alla sprovvista.

Cosa…?

Prima di rendersene conto lei lo sta baciando.

Ha immaginato molte volte questo momento, l’ha desiderato, l’ha temuto e ora, ora sembra soltanto tanto giusto.

E tardi.

 Troppo tardi.

Un’ondata di tristezza lo invade.

La allontana delicatamente.

Lei sembra confusa, ma non insiste.

– Cosa pensi di fare, quindi? – gli chiede, come quel bacio non ci fosse stato, come non avesse espresso ciò che da tempo sapevano.

Non risponde.

Guarda lontano.

Guarda i monti.

Ricorda che quando arrivarono qui, da giovane, aveva pensato che lo avrebbero protetto.

Guarda in direzione del punto in cui la delegazione del fratello è stata trucidata: non il luogo reale, sarebbe impossibile, ma comunque gli sembra di vederlo.

Scuote di nuovo la testa.

Quanti morti? Quanto dolore? Per cosa?

Quelli non ci accetteranno mai.

Non avranno pace finché non verremo annientati tutti.

Che senso ha tutto questo?

Lottare per cosa?

La speranza di cosa?

La guarda.

– Andiamocene. Ora. Il più lontano possibile. So che lo vuoi anche tu, se potevo avere dubbi prima, ora non ne ho.

Cerca di avvicinarsi, ma lei si ritrae.

– Sam… no. No. Sai quello che provo per te, lo sappiamo entrambi, ma no. Non posso. Sai il motivo. Non posso seguirti. Puoi andartene. Non ti biasimerò. Non ti odierò. Ma non chiedermi di scegliere. Devo restare. Voglio restare.

Lui si irrigidisce. Vorrebbe urlarle che non è giusto, che sta sbagliando, che non è così che deve andare, di portarsi dietro chi vuole, ma si rende conto che non ce l’ha con lei: ce l’ha solo con se stesso anche solo per aver pensato di fuggire così.

Le dà le spalle e si rivolge di nuovo all’orizzonte. Il monte sulla baia. Le onde sotto di lui. Il mare e le luci dei fuochi.

Il coro in lontananza improvvisamente non lo irrita più, lo sta avvolgendo fondendosi col rumore delle onde.

Sa di cosa deve avere paura.

Sa cosa rischiano.

Ma ora sa anche per cosa e per chi deve lottare.

Speranza, pensa, forse è davvero ciò che resta.

Inizia a cantare sotto voce.

Lei gli si avvicina da dietro.

Gli dà la mano.

Si unisce a lui.

Si sorridono.

Andiamo. Jerry sarà in pensiero.

Sing on just a little bit longer… everything will be alright.


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Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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