Di creatori e utenti

smiling woman interviewing black female guest and recording video
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Io, come penso tutti, detesto le pubblicità, in particolar modo quelle invasive. Se apro un sito e mi si aprono mille popup mi imbestialisco, se su youtube si supera un certo numero di spot perdo la pazienza. È umano e normale. Ciò che invece faccio meno spesso e che invece sarebbe da ricordare è pensare che quelle pubblicità sono un mezzo di sostentamento, il modo che siti e creator hanno per coprire i costi e, possibilmente, guadagnare. Non starò qui a segnalare quanto questo meccanismo diventi malato, tra clickbait e pagine con tre righe di articolo e decine di pubblicità: lo sappiamo tutti ed è una delle virate più odiose della vita on line che sperimentiamo.

Il problema di questa virata nasce però all’origine: ovvero la mancata volontà di pagare chi crea contenuti. Da decenni, ormai, la rete si basa su un assunto che funzionerebbe in un mondo perfetto, ma che fa acqua in quello in cui viviamo: che la rete sia gratuita.

Un assunto che già in realtà vacilla considerando i vari abbonamenti alle piattaforme di streaming, ai modi in cui svendiamo i nostri dati personali, a mille modi in cui paghiamo per i servizi apparentemente gratuiti (vedi, appunto, clickbait e pubblicità).

Ma ci sono molti contenuti che vengono considerati di serie B: si usufruiscono anche in modo bulimico, ma non vengono mai compensati se non in minima parte.

Pensate ai creator su Instagram e Tik Tok. Io sono il primo a non sopportare molt@ influencer che piazzano costantemente prodotti perché non mi piace essere bombardato continuamente, ma pensate ai tanti divulgatori di contenuti, creatori di video di attivismo o anche solo di svago. Credete che quei video richiedano poco sforzo? Che basti piazzarsi davanti a un cellulare e parlare? Che “evidentemente non hanno meglio da fare”?

Spoiler: no. Lo vedo banalmente quando devo fare i video per annunciare un nuovo episodio di Polo Nerd: il numero di tentativi prima di un risultato accettabile è imbarazzante. O ancora in questo periodo che sto lavorando a dei video che andranno in futuro su una piattaforma a pagamento (vi dirò tutto a tempo debito): ogni video di mezz’ora è, se va bene, una giornata di lavoro tra registrazione ed editing, senza contare la preparazione dei testi. E io non sono sicuramente bravo come chi lo fa regolarmente.

E ancora, spostandoci sul mio terreno: ogni episodio di Polo Nerd richiede, oltre alla pura e sempre registrazione, ALMENO un’ora/un’ora e mezza di editing a cui va aggiunta la preparazione della pagina del sito, la stesura della scaletta, la definizione del piano editoriale, il contatto con gli ospiti, la preparazione del materiale per la condivisione social: ore di lavoro mie e di Giuseppe. E lo stesso valeva per Astronomiti (con tanto di preparazione degli argomenti in modo ancora più approfondito) e, a parte la scrittura già presente, per L’ultima speranza dei Vertex.

Sono tutte cose nate per passione e che vanno avanti per questo, ma che costano in tempo e in denaro e che a malapena si ripagano parzialmente (sempre che avvenga) con gli spot che passano all’interno degli episodi. Per parzialmente intendo che quando va di lusso gli spot portano a Polo Nerd circa di 8/9 euro in un mese. E no, non facciamo pochi ascolti, tutt’altro: stiamo per toccare i 70.000 ascolti complessivi, siamo intorno ai 70 al giorno ora che siamo in pausa: non siamo Francesco Costa, ma non sono affatto pochi.

Attenzione, sto parlando di Polo Nerd perché è la mia esperienza specifica, ma ripeto che il discorso è ampio e mi interessa mantenerlo tale. A fine 2019 abbiamo chiesto agli ascoltatori tramite un questionario come avrebbero voluto sostenerci e, di conseguenza, abbiamo attivato Buymeacoffee per le donazioni (così come poi ho fatto io anche su questo blog, anche se non sono sicuro molti se ne siano accorti): ce ne sono arrivate diverse, assolutamente sì, ma se confrontiamo il numero di ascolti e il numero di donazioni la differenza è impressionante. Pensate solo che se avessimo ricevuto un euro (UN EURO) per ogni ascolto, avremmo potuto farlo come lavoro quanto meno part time (sì, ok, non ho considerato i riascolti, ma ci siamo capiti). La domanda è: perché invece è così?

Perché si ritiene così naturale usufruire di un contenuto, gradirlo, interagire, fare complimenti, anche condividerlo, ma non supportarlo in modo che possa proseguire al meglio delle sue possibilità? Perché ci si accontenta di dire “va beh, si vede che ha tempo/gli piace/si diverte, va bene così”? Cosa che, chiariamoci, è vera, ma per quale motivo non si pensa anche a premiare o quanto meno sostenere proprio il fatto che qualcun@ si sia pres@ la briga di creare qualcosa per gli altri?

Ho fatto una prova sul mio account instagram chiedendo a chi mi segue per cosa loro pagherebbero e come. Io ho 750 followers, di cui circa 140/150 guardando regolarmente le mie storie. Di solito quando voglio interagire ho risposte da circa 15/20 persone. Ieri l’ho avuta da 6. E di queste sei una ha poi donato a Polo Nerd (non era quello lo scopo, ma comunque ringrazio di nuovo), una ha comprato tempo fa merchandising e una ha donato a sua volta tempo fa. Ecco, io penso che la non risposta sia una risposta molto rumorosa. Su 140 persone, ma anche sulle solite 20, giusto una minima frazione si è sbilanciata per esprimere un modo in cui ipoteticamente sosterrebbe un progetto, lo stesso che però magari seguono, ascoltano, guardano, sostengono a voce.

La domanda, di nuovo, è: perché? Pagate regolarmente Netflix, Prime, Disney per prodotti che magari neanche vedete, alcun@ hanno l’abbonamento a Spotify (che non paga i podcasters pubblici, sia chiaro, per fare un esempio), magari anche Audible, però non sostenete (generalizzazione voluta, so benissimo che c’è chi lo fa) creator dei cui contenuti usufruite regolarmente. Capisco che a volte si pensi che tanto c’è la pubblicità, ma la pubblicità fa la differenza solo in caso di veramente MOLTI ascolti o visualizzazioni e anche quello dipende dalla piattaforma (non ho idea di quanto paghi Youtube, so quanto paga Spreaker) ed è comunque una sorta di demandare a qualcun altro la responsabilità di sostenere il vostro utilizzo.

Facciamo un altro esempio: Il Post. Da sempre Il Post si è sostenuto con la pubblicità, ma a un certo punto ha aperto la campagna abbonamenti perché gli ad non bastavano più e perché c’era bisogno di una fonte di entrata più sicura e più stabile. È stato un successo e io, in primis, sono fiero di essere loro abbonato. Una delle cose che più spesso ripetono è “molto di ciò che facciamo non sarebbe possibile senza gli abbonati” e, semplicemente, è vero: certo, Il Post è sempre leggibile gratuitamente da tutti, ma gli abbonati sono la sua spina dorsale e – in aggiunta – danno qualche vantaggio.

Ma Il Post è il Post, un giornale con una base enorme (così come una base enorme ha Francesco Costa, che l’ha costruita con gli anni e il sudato lavoro) e anche se gli abbonati sono una percentuale ridotta rispetto ai lettori ha trovato la quadra del cerchio.

Non tutti hanno il loro giro, non tutti hanno questa possibilità e, siamo d’accordo, non tutti meritano un sostegno tout court: ma qualcuno sì e, statisticamente, quel qualcuno non sta avendo il vostro supporto materiale.

Ecco, questo post non ha (e ripeto NON HA) lo scopo di dirvi di andare a cliccare qui sotto per fare una donazione a me o andare sul sito di Polo Nerd e fare lo stesso lì: ovviamente se mai lo farete ne sarò (o saremo) grati. Questo post, però, nasce per farvi riflettere sulla quantità di contenuti di cui usufruite ogni giorno e quanti, di questi, potreste sostenere e non lo fate: le parole, i complimenti, sono meravigliosi, ma spesso non bastano e prima o poi alcuni creator che amate potrebbero doversi trovare a scegliere tra andare avanti a fare quello che fanno o trovare un modo diverso per sostenersi.

Poi so benissimo che ci sono varie situazioni che non ho menzionato e ne cito di seguito solo alcune:

  1. Creator che non mettono a disposizione strumenti per sostenerli. Bene così, ma considerate che prima o poi la cosa potrebbe cambiare
  2. La possibilità di mettere a pagamento alcuni contenuti: ci sta, ma purtroppo non sempre ha il riscontro necessario perché i contenuti free vengono considerati “sufficienti” o per mille altri motivi
  3. La non disponibilità economica: ovviamente non voglio fare i conti in tasca a nessuno, ma sempre statisticamente trovo difficile credere che la maggioranza faccia fatica a sostenere anche solo con uno o due euro ogni tanto.
  4. Il concetto di “ne usufruisco perché è gratis, altrimenti andrei altrove o ne farei a meno”, che è assolutamente legittimo ma che in certi casi secondo è viziato – di nuovo – dalla presenza di troppo contenuto gratuito di cui si usufruisce senza considerare chi l’ha creato.

Di nuovo, metto le mani avanti perché ci tengo: questo post non vuole spingervi a donare, non vuole neanche essere una lamentela diretta a chi mi legge, mi ascolta e/o mi segue; vuole, però, essere una riflessione su quanto certi contenuti vengano considerati meno importanti e non degni di essere compensati, come se non fossero un lavoro, come se – soprattutto – fare una cosa per passione escluda il voler essere premiati/ricompensati per averla fatta, se merita.

Pensateci sopra.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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