15/03/2021

unemotional man in dark room in sunbeam
Photo by Sinitta Leunen on Pexels.com

Andando a riguardare ciò che scrivevo un anno fa sembra che non sia cambiato nulla e, per molti versi, non lo è. Abbiamo i vaccini, vero: ma lo schifo della disorganizzazione misto alla criminalità di certi giornali stanno rendendo il percorso verso la vaccinazione ancora più tortuoso di quanto già potessimo immaginare.

Per il resto è quasi tutto uguale. Vengono chiesti sacrifici in vista di non si sa più cosa e se l’anno scorso potevamo in qualche modo sperare di vedere la luce, ora quella stessa luce sembra poco credibile o sempre più lontana.

Siamo stanchi. Tutti. Ed è uno dei motivi per cui anche le restrizioni funzionano meno: anche alla paura ci si abitua, diventa compagna quotidiana e si finisce per sentire il bisogno di altro. Di sentire. Di vivere. L’idea di ammalarsi finisce per essere meno opprimente di quella di non vivere. Siamo umani, è normale che prima o poi capiti a molti, soprattutto quando inizi a convincerti che a chi di dovere non importi veramente nulla di uscirne il prima possibile.

Ci si barcamena, ognuno come può.

Io ho trascorso un totale di 11 ore di videochat in due serata con nuovi amici che sembrano essere arrivati nel momento giusto. Ed è bello e aiuta, ma poi ti ricordi di quanto vorresti abbracciare quelle persone. E tutti gli altri.

Venerdì mattina dovevo uscire. Per un istante mi sono detto “dai, c’è una bella giornata, fai colazione fuori”. È durata pochissimo, poi ho ricordato che no, non si può.

Qualche mese fa avevo deciso di comprare il telescopio per dedicarmi finalmente a serate di osservazione. Mi tocca dire che per fortuna non l’ho fatto, dato che a breve è arrivato il coprifuoco e che a sei mesi di distanza non avrei ancora mai potuto usarlo. E non so quando potrò.

E comunque fai, fai tutto, o almeno ci provi. Cammini quando possibile, leggi, fai modellismo, guardi qualcosa, fai stanze clubhouse. Fai tutto ciò che ti passa in mente per evitare di sentirti in quel limbo che, oggettivamente, ti accompagna da più di un anno fatta eccezione una – ormai quasi dimenticata – pausa estiva.

Ma la testa è avvolta sempre più in un po’ di ovatta e quella sensazione di rassegnazione è sempre più attraente e per questo sempre più spaventosa.

Tra meno di un mese compirò 47 anni. Se le cose non miglioreranno trascorrerò il secondo compleanno in isolamento. Non era così che pensavo ai miei 47 anni. Ad anelare il contatto fisico. A ritenermi fortunato se potrò vedere qualcuno a Pasqua. A non sapere se e quando potrò uscire dalla mia regione.

A non sapere chi sarò (e se ci sarò) quando tutto sarà finito, qualunque cosa significhi che sarà finito.

Poi sono grato di molte cose. Di chi mi vuole bene e lo dimostra anche a distanza. Delle tre pesti. Dei nuovi amici. Di avere un lavoro. Di avere abbastanza passioni da poter cercare di trovare consolazione da qualche parte.

Ma sto sopravvivendo.

Stiamo sopravvivendo.

E abbiamo bisogno di tornare a vivere.

Non è il post che avrei voluto scrivere oggi. Non è neanche il tipo di post che ho più voglia di scrivere a prescindere. Ma fuori c’è il sole, una giornata splendida e l’unico pensiero che ho è “a che serve?” e mi fa schifo sia così.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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