Spolveriamo

Uno si assenta per qualche giorno senza averlo previsto ed ecco che la polvere si accumula e i ragni iniziano a sentirsi a casa. Il che non sarebbe neanche troppo male, se qualcuno fosse radioattivo e portasse con sé superpoteri, ma ben che vada qui si rischierebbero due buchi sulla mano e una violenta reazione allergica.
Che poi, se qualcuno leggesse il paragrafo d’apertura senza andare avanti penserebbe che sono andato fisicamente da qualche parte e invece no, mettete via i forconi, non mi sono mosso dalla mia prig… ehm… abitazione se non per brevi attività consentite.
Semplicemente, la polvere si è accumulata qui dentro e – a parte i post programmati per pubblicizzare l’audiolibro – non ho scritto né pubblicato alcunché.
Perché? Cercherò di tirare le fila a seguire, ma la risposta più immediata potrebbe essere “perché non mi andava” e si potrebbe chiudere lì, ma dato che sono mesi che parlo della voglia di tornare a produrre di più la risposta mi farebbe apparire più mentalmente dicotomico di quanto io sia e, onestamente, di persone mentalmente dicotomiche non sento particolarmente la mancanza al momento.
Quindi perché?
Perché sono in una fase mentale molto strana e perché in queste settimane sono successe cose: alcune spiacevoli e impreviste, altre importanti, altre anch’esse impreviste ma ben accolte. E, d’altro canto, non sono successe cose e questo, forse, è il peggio.
Lo so, sembro più stordito del solito, ma su alcuni aspetti non ho voglia di scendere nei dettagli e su altri non lo saprei fare.
Quindi cos’è successo in queste settimane? Sicuramente uno degli eventi più importanti è stata la mia decisione di iniziare un percorso psicologico. Era da parecchio tempo che ci pensavo e, sebbene la mia consapevolezza sia parecchio elevata e quindi io sia ben conscio di molti dei problemi e delle cicatrici che mi porto dietro, mi sono finalmente deciso. Non so quanto sarà lunga questa strada, ma sono contento di averla finalmente intrapresa.
Ci sono stati conclusioni e stravolgimenti. Sicurezze che sono crollate. Piani che per forza di cosa finiranno in fumo. Ritorni che per forza di cose non ci saranno. Prese di coscienza che più che dolorose sono state illuminanti e, per molti versi, necessarie.
Anni fa, dopo un periodo molto buio, scrissi nel mio stato su MSN (ma ve lo ricordate?) “coming back from far away”. Mi sentivo come se stessi tornando in me stesso dopo un viaggio in luoghi ben poco piacevoli e lo stavo sottolineando in quel modo. Ecco, la strada è ancora lunga e la situazione attuale non aiuta, ma una parte di me è tornata e non mi rendevo conto neanche di quanto se ne fosse andata. Di questo posso dirmi grato.
Conclusioni, dicevo. La scorsa settimana ho registrato l’ultimo capitolo dell’audiolibro, che ascolterete (spero) il 10 aprile: l’ennesima fine legata a quella storia e, forse, l’ultima. È strano salutare quei personaggi ora che non solo ho dato loro anche voce, ma che sono diventati non più solo miei. Mi mancheranno.
E abbiamo registrato l’ultimo episodio (per ora) di Polo Nerd. Una pausa era necessaria, iniziavo a non farcela più, ma comunque fa effetto fermare una cosa a cui hai lavorato praticamente ininterrottamente per due anni, anche se si tratta di un’interruzione di un paio di mesi.
Ho anche portato a termine il corso sul giornalismo del Post: un altro tentativo di avere nuovi stimoli che si è effettivamente rivelato molto piacevole, anche se non sempre sorprendente.
Ma, in tutto questo, ci sono stati nuovi inizi: ClubHouse si sta rivelando una fonte di stimoli maggiore del previsto; nonostante ci siano parecchie stanze che evito accuratamente, ho anche incontrato alcune persone con cui è nata subito una bella affinità e che sono diventate parte di una quotidianità imprevista che, proprio per questo, mi rende ancora più lieto. Ci stiamo inventando piccoli progetti insieme e ne sono felice. Veramente felice. (Se siete su ClubHouse mi trovate come @oldmanaries, aggiungetemi pure).
E ancora gli anniversari e i ricordi. Domenica sarebbe stato l’ottantaseiesimo compleanno di mio padre e ieri ha segnato il quinto anno dalla morte di Zen (cinque anni! assurdo…). Ma, ancora di più, domenica ha chiuso il primo anno da quando la Lombardia e, pochi giorni dopo, tutti gli altri sono finiti in lockdown.
Un anno.
Un anno di solitudine, di paure, di pensieri, di rabbia, di autorità dimostratesi inadeguate, di gente stupita, di cacciatori agli untori, di irresponsabili.
Un anno dopo il quale sembra di essere punto e a capo. Sono solo come e più di allora, non so se e quando tornerò ad avere una vita sociale adeguata, non so quando potrò abbracciare amici lontani vecchi e nuovi. Non so quando tornerò al cinema, a teatro, a vedere un concerto, a girare per Londra. Non so se e quando mi sentirò dire un “ti amo”, riceverò un bacio con trasporto, farò tardi in riva a un lago, progetterò un week-end via.
O se e quando tornerò a sentirmi vivo invece che continuare a pensare che sto sopravvivendo.
E, a distanza di un anno, tutto inizia a pesare più di prima e in modo diverso. Se prima c’era rabbia ora si sta avvicinando una rassegnazione che ho sempre voluto rifiutare ma che spinge sempre di più. Non la voglio, la respingo, ma è dietro l’angolo.
Non la voglio perché so che sarebbe veleno per la mia anima eppure so altrettanto bene che è lì perché cerca di farmi sopravvivere.
E il problema è tutto lì: io voglio vivere.
Voglio vivere.
E intanto inizio a spolverare un po’ qui dentro. Chissà che non aiuti.