La mattina dopo
La mattina dopo è quell’istante di coscienza che abbiamo il giorno dopo un evento traumatico o, in generale, di un evento importante, ma date le implicazioni emotive ed effettive è meglio fermarci agli eventi negativi.
È un istante che tutti coloro che hanno vissuto un lutto o un trauma conoscono bene, quel momento in cui apri gli occhi e nel silenzio ti si carica sulle spalle il peso della consapevolezza che tutto, ora, è diverso e che da quel momento la tua vita dovrà prendere pieghe che non avevi previsto, quanto meno non in quel momento, che non riesci a immaginare e, tanto meno, riesci a concentrarti su da dove iniziare.
Ovviamente non si tratta solo di quell’istante, quello è il punto di partenza di un percorso che può essere più o meno lungo, ma difficilmente sarà facile e privo di ulteriori cadute.
Tutti o quasi, dicevo, ne abbiamo vissuto almeno uno ed è singolare come – andando a guardare – difficilmente se ne parli o viene rappresentato. Fateci caso: se vedete un lutto in un film, in un libro o in una serie tv potreste notare focus sugli istanti prima, su quelli successivi, sui funerali, ma difficilmente sul primo risveglio.
Il perché? Potrei fare solo supposizioni e probabilmente neanche tanto sensate, ma mi viene da pensare che ci sia una sorta di pudore verso quel momento in cui la vita esce dai binari e non ha più una sua identità, neanche quella del sopravvissuto che deve gestire il dolore. Come se in sé fosse un’anomalia da ignorare e correggere.
Forse, a ben pensarci, giusto After Life di e con Ricky Gervais è riuscita a mostrarne degli scorci in qualche flashback, ma non ne sarei sicuro al 100%.
Eppure quel momento è tanto fondamentale quanto devastante, capace di impedirci di rialzarci anche per un periodo molto lungo, forse anche perché nessuno ci avvisa che esiste finché non ci troviamo noi stessi a provarlo.
Attenzione, io sto parlando di lutto per comodità, ma vale la stessa cosa in caso di un incidente, di un trauma, di qualunque cosa che abbia buttato la nostra vita fuori dai binari su cui pensavamo stesse viaggiando più o meno comodamente: inutile dire che l’anno passato ci ha probabilmente fatto vivere mattine come questa in più di un’occasione.
Questa enorme premessa che potrebbe essere un post a sé stante serve a far capire di cosa parla il libro di Mario Calabresi intitolato – appunto – La Mattina Dopo e perché abbia deciso di affrontarlo come primo libro post lunga pausa.
Il motivo immagino sia chiaro: si tratta di un argomento che mi tocca molto e mi interessava avere la possibilità di vederlo trattato da parte di un giornalista che, pur non essendo sempre stato all’altezza del suo ruolo, resta una voce interessante, così come interessante è lo spunto da cui parte Calabresi.
Pur avendo lui stesso nel suo passato remoto una Mattina Dopo estremamente dilaniante, l’ex Direttore di Repubblica parla invece di quella successiva al suo licenziamento e si focalizza sul modo in cui ha affrontato quel trauma e, a fine lettura, ci si rende conto che il libro in sé non nasce tanto per parlare ad altri della Mattina Dopo, quanto come meccanismo di gestione da parte dell’autore: il libro è il suo modo di affrontare la Mattina Dopo.
E così, dietro la facciata di una dedica a quel momento diventa in realtà un reportage incentrato su persone che quel momento l’hanno superato e hanno ricostruito la propria vita in modo nuovo, rialzandosi e lottando e, a volte, rendendo quel trauma la forza su cui hanno costruito ciò che è seguito.
Un’alternanza che – nuovamente – è più terapeutica per l’autore che utile al lettore, che finisce per passare da storie diverse senza la percezione di una continuità logica e che viene anche condotto nel recupero della storia familiare antica di Calabresi: non che non siano storie interessanti, per certi versi ispiranti e anche tenere, non c’è dubbio in merito, ma in qualche modo viene da pensare che l’autore sia andato fuori tema.
O, meglio, che le sue intenzioni fossero dall’inizio queste, ma il libro sia stato proposto con parole che non lo rispecchiano pienamente.
Mi rendo conto che soffermarsi su quel momento potrebbe non essere altrettanto narrativo, anche se fatto affrontando storie diverse, così come comprendo che mostrare che un dopo esiste e può essere altrettanto importante del prima sia un messaggio potente e da non sottovalutare, ma in questo modo ci si scorda di nuovo che a quel dopo bisogna arrivare e per farlo bisogna superare il silenzio attorno alla mattina dopo.
Non è affatto un brutto libro e sono certo che ci sarà chi lo troverà utile, ma ripeto che penso sia stata soprattutto opera di necessità dell’autore per superare la sua personalissima mattina dopo: buon per lui, assolutamente, ma avrei voluto qualcosa in più.