Ci Risiamo
Io ci provo, lo giuro.
Cerco di essere positivo, di distrarmi, di sottolineare delle cose belle che accadono. Ci provo anzitutto per questione di sopravvivenza, perché in qualche modo bisogna superare tutto questo e la mia salute mentale è ben da tempo messa a dura prova.
Poi leggi un articolo come questo e tutti gli sforzi sembrano, di nuovo, nulli: https://www.ilpost.it/2020/11/10/natale-coronavirus-restrizioni-provvedimento-zampa/
Prima che si possa obiettare: ovviamente è un’intervista, non c’è nulla di definitivo, tutto può cambiare, bla bla bla, ma qui c’è un discorso di fondo che continua a essere problematico e sembra trasparente per troppi.
Leviamo che a marzo e aprile ci sono stati chiesti sacrifici enormi con la promessa che nei mesi successivi ci sarebbe stato un potenziamento di ogni aspetto della macchina istituzionale. Così non è stato. Illudetevi quanto volete, ma così non è stato. Non è stato nel contact tracing, non è stato nei potenziamenti delle terapie intensive in molte regioni, non è stato nella capacità di controllo delle regole esistenti: perché tu puoi mettere tutte le regole che vuoi, ma se queste non vengono fatte rispettare non contano niente.
Ma noi i sacrifici li abbiamo fatti e ben lo sappiamo, la nostra parte del patto è stata rispettata. L’altra no.
Ma, ripeto, non è questo il punto ora.
Torniamo un secondo a marzo.
Tra le tante schifezze fatte da questo governo, una è stata quella di cui ho già parlato ai tempi: cercare di definire quali relazioni fossero legittime e quali no, quali fossero tutelate e quali no. Ovviamente io parlavo già come persona colpita da queste normative. Vivevo una storia a distanza fuori regione, coi miei fratelli mi vedo se va bene una volta l’anno a dir tanto, coi parenti di secondo grado forse una ogni dieci anni e i miei genitori sono morti. Per lo Stato, era ufficiale, io meritavo di stare solo e di non avere relazioni interpersonali. Nessun contatto umano. Nessuno. Se non avessi avuto i gatti sarei impazzito e già così non è che ne sia uscito benissimo.
Tutti hanno scherzato sul termine “congiunti”, ma ciò che quella definizione e quella gestione hanno implicato è gravissimo: indicare che solo se si ha lo stesso sangue o si ha un contratto in essere (vedi matrimonio) si è legittimati ad avere un rapporto emotivamente importante.
La soluzione ci sarebbe stata, eh? In molti paesi anglosassoni è stato definito il concetto di bolla, di legami scelti e precisi con cui potersi incontrare. Non famiglia di sangue, ma famiglia di fatto.
Ma no. In Italia non funziona così. Qualcuno potrebbe obiettare che sarebbe troppo facile fare i furbi ma vi rivelo una cosa: già ora è facile fare i furbi, se si vuole. La differenza non la si fa nel non dare possibilità, ma nel saper fare rispettare le regole che ci sono. Soprattutto in questo paese (sì, minuscolo, il maiuscolo va meritato).
Il primo lockdown è stato di tre mesi. Tre mesi in cui io e molte altre persone abbiamo vissuto un disagio espressamente richiesto dallo Stato anche quando ad altri è stata data la possibilità di superarlo. E quando parlo di disagio non parlo di un’unghia incarnita, ma di contraccolpi psicologici anche parecchio gravi e a lungo effetto.
Si sperava che almeno questo, sull’onda delle critiche, si fosse compreso. E invece.
Invece Zampa dice serenamente che a Natale potrebbero decidere di autorizzare l’incontro solo con parenti di primo grado per limitare i contagi.
Ora, parliamone razionalmente, o almeno proviamoci.
Natale, soprattutto in Italia, è la festa dove soprattutto si incontrano le famiglie. E i grandi numeri si formano proprio per le famiglie numerose. Non è che se si limita ai parenti di primo grado si faccia molto, eh? E poi, parenti di primo grado di chi? Del capofamiglia (altra parola orribile tornata in auge in questi anni)? Dei genitori? Del proprietario di casa?
Perché basta un cavillo per fare aumentare esponenzialmente le persone presenti pur rimanendo nella legalità.
Quindi, come regola per limitare i contagi è quanto meno opinabile.
Ma fa un ottimo lavoro su un altro aspetto: mettere alla berlina chi legami di sangue non ne ha o li ha lontani.
Se una persona vive sola e non ha parenti di primo grado cosa fa? Rimane sola. Il giorno di Natale, ovvero quello che per tradizione è il più difficile per le persone sole, in un anno che già le ha messe a dura prova.
Rimane sola perché lo Stato ha deciso che non esiste.
O che non conta.
Rimane sola per decreto.
Ora, chiariamo, io so benissimo che ci sono fin troppe persone che sono state lasciate a terra da questo Stato in quest’anno. I lavoratori dello spettacolo, i lavoratori dello sport, gli studenti sotto tantissimi punti di vista. E so pertanto che ci sono varie classifiche redatte ufficiosamente dal governo che dividono in cittadini di serie A e di serie B. Ed è fottutamente grave.
Ma ora lasciatemi parlare di ciò che tocca personalmente me.
Da giugno sono single (ma anche non fosse, non conterebbe in questo caso). La situazione dei parenti è la stessa. Sto faticando a lottare con la sensazione costante di solitudine cronica che il mio status porta con sé. Devo affrontare ora più che mai la sensazione di non avere radici.
Sono settimane che ho il pensiero del Natale, perché per me è sempre stata una festa importante e perché non avevo alcuna certezza che l’avrei passato con qualcuno: di sicuro io non mi autoinvito da nessuna parte, quanto meno, e non è detto che si ricevano inviti.
Io, per questo pensiero, ho pianto letteralmente per più di una notte.
Ora lo Stato sta cercando di ufficializzare che io, questa cosa, me la merito e devo subirla. Perché io non ho diritto ad avere affetti esterni anche se qualcuno dovesse decidere di chiedermi di passare quel giorno con loro.
Ripeto, si tratta di un’intervista e non sappiamo cosa accadrà, ma che esista questa posizione mentale è di per sé grave. Il fatto che non si voglia vedere che in questo paese esistono persone che non rientrano nel concetto di famiglia tradizionale e che hanno bisogno di supporto psicologico è qualcosa di inaccettabile.
Non è questione di contenere la pandemia, siamo tutti d’accordo che è necessario, ma si tratta di trovare regole che possano tenere in considerazione anche gli anelli più deboli e le situazioni che sono sempre più comuni.
La famiglia “tradizionale” non è più il solo modello diffuso, se mai lo è stato. Uno Stato che non ne tiene conto è uno Stato che non conosce il popolo a cui si rivolge, che è scollato dalla realtà. La stessa realtà a cui, però, chiede tasse e sacrifici.
Nel momento in cui il tuo Stato dice che tu non esisti sta rompendo un patto che difficilmente sarà in grado di ricucire. È il motivo per cui, ampliando di parecchio il discorso, si lotta per diritti uguali per tutti.
Perché nessuno deve sentirsi intruso nel paese in cui paga le tasse.
Nessuno.