1 settembre

Il titolo è tutto un programma, in effetti.

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Per anni, praticamente da quanto riesca a ricordare, settembre è stato il mese del rinnovo; spesso si trattava del periodo in cui diventavo insofferente verso ciò che c’era stato prima e il desiderio di cambiamento iniziava a scalpitare in vista di Samhain, anche quando ancora non sapevo cosa fosse Samhain. Quante volte avrò usato la metafora della pelle vecchia? Troppe probabilmente, anche di recente, ma è onestamente difficile definire il tutto in maniera diversa.

Arrivava settembre, serviva qualcosa di nuovo. A volte accadeva, qualche volta anche in modo distruttivo, altre no. Ci sono stati momenti in cui è stato ottenuto volontariamente, altri in cui è capitato.

A settembre ’99 ci fu il mio primo matrimonio (accidenti, neanche ricordo quella vita). Il 18 settembre ’96 morì mia madre. A fine agosto ’90 (va beh, ci sta) trovai Lupo e a settembre fu ufficiale che l’avremmo tenuto.

Nel settembre 2001 iniziò quella che fu la storia più breve (e per molti versi più intensa della mia vita).

Nel settembre 2013 firmai per la seconda separazione.

E così via.

Quest’anno è uguale e completamente diverso allo stesso tempo e la cosa mi frastorna non poco.

Uguale perché dopo tutto quello che è successo la sete di cambiamento, di novità, di bellezza è ormai qualcosa di indispensabile, non solo desiderato.

Agli antipodi perché il percorso è iniziato da tempo, subito come da tutti, e ora ci sono semplicemente in mezzo senza idea di dove porterà.

Parecchi anni fa in Viale Monza esplose un palazzo, che crollò parzialmente. Morirono parecchie persone e il Viale fu a traffico limitato per mesi. Quel palazzo, poi, col tempo è stato ricostruito: da fuori sembrava quello vecchio rimesso a nuovo, chissà com’era stato rifatto dentro.

Ecco, a volte penso a ciò che ha fatto il 2020 alla mia vita come a quel palazzo. Qualcosa è esploso, ha tirato via molto di quello che c’era lasciando in piedi lo scheletro, qualche stanza intatta, qualcuna distrutta e altre che, seppure a pezzi, sono ancora parzialmente visibili e dove si guarda sembrano ricordare ciò che era.

I mesi di lockdown (più per alcuni, meno per altri) non sono stati una pausa tra due momenti della vita: sono stati uno stop e reboot in cui non tutto il lavoro fatto era stato salvato correttamente e se ne ha conferma solo quando si riaccende.

E a quel punto che si fa? Impossibile ricostruire un lavoro di anni che non è stato salvato bene. Si può andare a memoria, vedere se c’è qualche backup, provare a riscriverne una parte, ma alla fine bisognerà rassegnarsi che quello che avevi scritto, in quel preciso modo, è andato.

E ricominciare a scrivere. Mi successe tempo fa con un capitolo del romanzo: avevo fatto fatica a scriverlo, ero all’aperto, collegato a una wifi instabile e quando lo salvai qualcosa andò storto. Lo persi completamente. Fui costretto a riscriverlo, dato che era impossibile rifarlo a memoria. Alla fine mi piacque anche di più (nota mentale), ma la sensazione di vuoto e stanchezza e smarrimento alla scoperta del danno ancora me le ricordo.

Ecco, il vuoto è il problema. Quando devi ridimensionare se non rimuovere cose, luoghi e persone, non è che lo spazio che occupavano vada a riempirsi automaticamente. L’impronta c’è, è enorme, e attira l’attenzione. E non vuoi neanche che sparisca del tutto, perché i ricordi sono parte preziosa di ciò che siamo, anche quando sono malinconici o dolorosi.

Col tempo, comunque, si ridimensiona, ma nel frattempo è lì e si cerca di gestirla come possibile.

E poi ci sono i trigger e anche su questo il 2020 non si è fatto mancare nulla, venendomi a toccare su praticamente ogni argomento sensibile che possa ferirmi, riportarmi dolori vecchi o riattivare paure.

La morte di Boseman di pochi giorni fa ne è un esempio. Non nascondo che la sera della notizia l’ho trascorsa in lacrime. L’idea di un uomo di 43 anni morto dopo quattro anni di cancro mi ha toccato paure e ricordi insieme.

La paura del tempo che non basta mai. Il ricordo dell’ultimo respiro di mio padre. Il dolore per Stitch e Zen. Il salto nel vuoto della vita dopo la morte di mia madre. E ancora quella frase “è morto con accanto la sua famiglia”. E la consapevolezza che io una famiglia vera non ce l’ho. E che se mi succedesse qualcosa, beh, al momento non ci sarebbe accanto nessuno. Banalmente.

E il futuro. Lo so, soprattutto ora al futuro non bisognerebbe pensare, ma io sono uno che fa budget da una vita, non mi si può impedire di pensarci. E so perfettamente che nulla del domani è definibile: chi avrebbe pensato solo a dicembre che quest’anno sarebbe stato così? Vale in entrambe le direzioni, sia chiaro: potrebbe esserci dietro l’angolo qualcosa di meraviglioso. Le probabilità sono uguali. E per quanto io sia uno che non smetterà mai di sperare o lottare, sono anche quello che sa benissimo quanto una speranza mal riposta possa far male. Lo accetto, eh? Ma non fa meno male per quello. Vale la pena correre il rischio, se ci sarà occasione. Ma ciò non toglie che resti un rischio.

Cosa c’è nel futuro? Dove sarò a Natale? Con chi? Sarà il primo Natale da solo? Quando tornerò a Londra? Quando scoprirò un luogo nuovo? Quando potrò vivere uno spettacolo teatrale? Un concerto? E che sapore avranno? Quando (se) sentirò ancora entusiasmo vero?

Ora, chi è arrivato qui e chi mi ha letto in questi mesi penserà che mi stia trasformando in una sorta di emo fuori età massima. No, non credo sia così. Ovviamente non sono nel periodo migliore della mia vita, ma non credo sia così. Scrivere è per me da sempre modo di sputare ciò che lasciato dentro finirebbe per marcire ed è quello che sto facendo. Riconoscendo, analizzando, mettendo in ordine.

Ciò non significa, ed è importante, scordarsi il bello. Mentre scrivo queste parole un’amica mi scrive perché si sta divertendo ad ascoltare l’audiolibro e io sono qui che quasi non ci credo. L’altro giorno un’altra amica ha finito di leggere la versione cartacea ed è da allora che vuole fare casting call per i personaggi e mi minaccia perché non sto scrivendo altro.

Le soddisfazioni che ho per Astronomiti, Polo Nerd e l’Ultima speranza dei Vertex sono enormi. Lo so. Me le tengo strette.

Le parole di bellezza che arrivano da alcune persone che mi leggono e ascoltano sono tutte incise in me.

E io stesso cerco di scoprire nuova bellezza. Camminando. Cercando nuove esperienze. Pensando all’acquisto di un telescopio. Andando a fare whale watching. Sperando di trovare una prima pietra da cui partire, conscio che di solito queste pietre le riconosci solo dopo che ne hai già raccolte un po’.

Ma soprattutto, ho bisogno di rimodellare me stesso, perché quegli spazi vuoti tornino a riempirsi con qualcosa di nuovo, fatti salvi i ricordi, qualunque cosa essa sia. Rimodellare e riscoprire. Conscio che ci sono cose che non sono più disposto a tollerare (i miei clienti lo stanno scoprendo) e altre che considero imprescindibili. In ogni campo.

Il mio settembre inizia così. Non tabula rasa, ma di sicuro con un reboot di cui ancora devo comprendere gli effetti a lungo termine.

E nel frattempo trovare la nuova, spero migliore, versione di me stesso.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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