Di quando si torna
Sto facendo qualcosa che non si dovrebbe, pubblicando un secondo post nello stesso giorno. Ma dato che non sono solito pormi troppo questi problemi e dato che l’altro post riguarda l’audiolibro me lo concedo.
Sono tornato da sei giorni di mare, che avevo deciso di concedermi per permettermi di staccare almeno un po’ dai mesi passati e dai tanti, troppi pensieri accumulatisi.
Non una fuga, in alcun modo, anche perché non avrebbe funzionato, ma un modo per resettare o darmi comunque una spinta.
Era un rischio, anche se può sembrare ridicolo dire una cosa del genere per dei giorni di vacanza, ma lo era eccome: era la prima volta in circa vent’anni che mi ritrovavo a fare una vacanza marina da “stabilimento” balneare ma, soprattutto, era la prima volta che andavo in vacanza per più giorni da solo in un luogo che non conoscevo.
Non sapevo come sarebbe stato, non sapevo come mi sarei trovato e il pensiero che avrei potuto voler tornare a casa quanto prima non era trascurabile. Ma dovevo provarci.
Sono tante le cose che ho capito e, a conti fatti, altrettante le conferme che ho avuto.
La prima, più importante, è che sì, l’ho fatto e non sono stato male. Non posso dire che siano state tutte rose e fiori, ma non sono stato male.
Fondamentale rispetto a qualunque altra cosa: il mare mi mancava ed è ancora un mezzo di cui ho bisogno per ricaricarmi e sentirmi più me stesso, anche quando si tratta di un mare a malapena discreto come quello di Pesaro. È l’immergermi, il nuotarci, il camminarci a lungo che mi ricarica e mi aiuta. Ne avevo bisogno.
Poi ho avuto la conferma che so stare da solo, che non è detto mi debba sempre piacere, ma comunque è preferibile al non fare le cose o a farle con le persone sbagliate. Sembra banale, considerando che vivo da solo da più di sette anni e che ho imparato a costruirmi la mia vita in questo modo, ma il lockdown ha stravolto tutto e la solitudine, da scelta, è diventata un’imposizione a malapena tollerabile. Andare in vacanza da solo dopo mesi del genere poteva essere dura e sotto alcuni aspetti lo è stato, ma sotto altri mi ha confermato che se necessario posso farlo degnamente. Il che è fondamentale, a prescindere.
Ma, come dicevo, non deve per forza piacermi. Un conto è essere soli per scelta, un conto è adattarcisi per vari motivi. Io sono di natura una persona sociale, che ama condividere momenti e, inutile negarlo, devo ringraziare i social che almeno parzialmente sopperiscono (e hanno sopperito) a questa necessità. Vedere sorgere una meravigliosa luna rossa sul mare, vedere scene anche non positive, vivere momenti divertenti o estranianti hanno un altro sapore se si può condividerli con qualcuno di affine o di amato. Un sapore completamente diverso. Li ho vissuti. Ne sono stato contento. Ma se dicessi che non avrei voluto poterli condividere mentirei spudoratamente, così come se dicessi che non avrei voluto fare un bagno a mezzanotte, per dire.
Ma qui viene un’altra considerazione, cui accennavo: la condivisione dev’essere con le persone giuste. Mi è capitato di vedere tante coppie o gruppi di persone che sembravano non avere niente in comune. Ho avuto modo di incrociare persone con cui era già troppo condividere la città, figuriamoci i momenti. Averne la consapevolezza e la conferma è stato importante: vuol dire sapere che se mi accompagno con qualcuno lo faccio solo perché quel qualcuno è per me speciale. Perché ne vale la pena. Altrimenti ne faccio a meno.
E infatti è stato bello trascorrere due serate con un’amica che non vedevo da tempo, il suo compagno e suo padre: è stato bello perché, appunto, siamo stati bene a prescindere, perché le voglio bene. Non perché le altre sere ero solo. C’è una differenza abissale.
Quindi, su questo fronte, torno consapevole di quella solitudine che già mi pesava prima di partire, ma guardandola sotto un’angolazione più completa. Per certi versi smettendo (almeno in parte) di scalpitare, ma accettandola per correggerla da dentro. O almeno questa è l’intenzione.
Ciò che invece ho dovuto forzarmi a fare, scoprendo quanto è difficile, è stato scollarmi di dosso tutti quegli orari e quei ritmi autoimposti da mesi se non anni.
Ero in vacanza, con solo colazione in albergo, eppure il primo istinto al primo giorno sarebbe stato quello di rispettare gli orari che ho a casa quando lavoro o, al massimo, di rispolverare quelli che avevano quando facevo vacanza a Cesenatico. Se questo mi avesse dato una sensazione di sicurezza sarebbe anche stato innocuo, ma così non era: era un’evidente fonte di stress mentale, per cui me lo sono vietato. L’unico orario era diventato quello della sveglia, perché ovviamente la colazione era a orari definiti. Il resto? Come veniva. Volevo fare un tuffo subito? Ottimo. Volevo stare in acqua un’ora? Nessun problema. Volevo mangiare alle 14? Vedi sopra. È stato quanto di più difficile e al contempo liberatorio potessi fare, tanto da rendermi opprimente il pensiero di tornare a ritmi più “normali” a fine mese. Ero imprigionato e non lo sapevo.
E così si sono liberati altri aspetti.
Ho ricominciato a leggere coi miei vecchi ritmi. Non lo facevo da ben prima del Lockdown.
Ho camminato due chilometri e mezzo in acqua ogni mattina.
Ho nuotato ogni volta che era possibile.
Ho preso posizione per difendere delle meduse.
Ho cambiato il modo di mangiare per adattarmi alla scarsità di cibi vegetariani.
Ho avuto la conferma che la gente è strana. Molto strana.
Ho fotografato e ammirato Meduse Cassiopea e scoperto cosa sono le noci di mare
Ho scattato una foto a una coppietta.
Ho cercato inutilmente di vedere le Perseidi perché il cielo (e Pesaro e una Motonave) mi hanno tradito.
Ho avuto la conferma di quanto mi manchino le mie pesti quando non le vedo.
Ho capito e confermato alcune cose di me, resettando almeno il carico emotivo che portavo da tempo, ma questo ha anche avuto l’effetto collaterale di farmi sentire, almeno per alcuni istanti, quella spinta creativa a scrivere, a raccontare, a inventare qualcosa di nuovo che non avevo da non so più quanto. Una spinta estremamente in sottofondo, eppure l’ho percepita più di una volta. Spero di riuscire ad alimentarla. Lo spero davvero.
E ho scoperto, tornando, che le mura di casa sono per ora ancora in qualche modo opprimenti, un pensiero che mi atterrisce e che dovrò gestire quanto prima.
Magari entrerò nei dettagli più mondani nei prossimi giorni, ma intanto avevo bisogno di mettere nero su bianco questi pensieri che, lo so già, sono molto sconclusionati e ancora più incompleti.
Non sono tornato cambiato. Non sono tornato con tutto risolto. Non era sicuramente quello lo scopo. Ma avevo bisogno del mare. E avevo bisogno di fare i conti coi miei pensieri. Non sono spariti, sono lì in buona parte. Ma hanno un contorno forse più definito. Da qualche parte bisogna pur iniziare.