Grasso

Qualche tempo fa mi è capitato di vedere un video di quando avevo 16/17 anni. Ricordo chiaramente come mi vedessi a quei tempi. Grasso. Guardo ora quelle immagini e mi rendo conto che non lo ero neanche lontanamente. Eppure mi vedevo tale. Perché lo ero sempre stato, perché era ciò che ero stato abituato a pensare di me, perché è ciò che a trent’anni di distanza da allora tutt’ora è una parola che si accompagna a me.

Flash Forward a qualche anno fa. Week-end per un festeggiamento che non ricordo di preciso a casa di una persona che conoscevo virtualmente da tempo, ma personalmente da molto poco. Conoscente sì, amico – per come intendo il termine amico – no. In quel week-end arriva la notizia che un autore di fumetti piuttosto in vista era stato ricoverato per un ictus. L’autore, è importante sottolinearlo, è sempre stato piuttosto sovrappeso.

Bene, in quel week-end, l’ospite in questione ben pensò di raccomandarsi con me – sì, dal nulla, senza alcun tipo di conversazione specifica in corso – di perdere peso, perché “guarda cos’è successo a Peter David”. Con, ovviamente, la frase di rito “lo dico per te, eh?”.

Come risposi?

Mi piacerebbe dire che risposi a tono, che gli dissi che non erano fatti suoi, che non doveva permettersi o cose del genere. Non è così. Abbozzai. Risposi come avevo imparato a fare in quarant’anni, facendo buon viso e cercando di uscire da quel discorso il prima possibile.

Perché, in uno strato inconscio di me, quella persona doveva aver ragione. Come dovevano aver ragione tutti coloro che mi avevano umiliato, preso per il culo, convinto che fossi sbagliato sia quando grasso lo ero davvero che quando, ormai, non lo ero più.

Dovevano aver ragione.

Dovevo essere sbagliato.

A guardarlo da fuori le risposte possibile sarebbero milioni. Da una banale riflessione sull’inopportunità di una certa confidenza al voler sottolineare che il parallelo grassezza/ictus era immediato solo nella sua mente.

Ma non risposi. Perché quando sei grasso impari a non rispondere.

Altro Flash Forward, questo più recente. Ferie natalizie del 2019. Una sera a cena arriva un amico di Miss Sauron, una persona intelligente e in gamba di cui ho sempre avuto enorme stima (e pensato che fosse reciproca). Saluta lei, saluta i presenti, saluta me. E aggiunge “certo che sei sempre più grosso”.

Congelandomi.

Di nuovo, non si risponde. Perché si è tutti insieme, perché è detto in leggerezza, perché non ha sentito nessuno, perché dai siamo tra amici, perché soprattutto sei spiazzato. Dovresti essere in un porto sicuro e così non è. Dovresti essere al sicuro e invece vieni ferito quando hai le difese abbassate. E mentre il resto della serata va avanti tu resti nella tua testa con quella ferita che brucia.

E che viene anche stuzzicata quando poi, durante la medesima serata, la stessa persona ti usa come termine di paragone per definire qualcuno di enorme. E stavolta lo fa davanti a tutti. E glissi di nuovi. E nessuno dice niente. Perché non si dice niente in questi casi, no? È una battuta, è leggerezza, magari sei tu che esageri, magari l’hai notato solo tu. Nessuno dice nulla e tu neanche. Ma quella sera sei stato ferito due volte da chi era nella tua sfera di sicurezza e fa molto più male. E ti senti solo.

Per correttezza va detto che, indirettamente, la persona si è scusata per la seconda frase senza che le venisse detto nulla. Ma, ovviamente, poi.

Ma andiamo avanti. Un paio di giorni dopo, serata tra amici, persone diverse. Uno di questi, non amico diretto, ma con cui comunque siamo usciti varie volte, saluta Miss Sauron. “Quanto sei dimagrita!”. E saluta me. “Certo, a te proprio non posso dirlo”.

Di nuovo. Di nuovo punito per le difese abbassate. Di nuovo ad abbozzare. Di nuovo a vivere con quella ferita tutta la sera. Di nuovo solo.

Sono trascorsi due mesi da quelle sere e ho pensato a lungo se mettere nero su bianco queste cose, ma ho deciso di sì perché voglio sperare che possa servire.

Perché, vedete, io sono ragionevolmente convinto che nessuna di queste tre persone abbia volutamente provato a ferirmi. Lo dico sinceramente. Io non credo che abbiano pensato “ora gli faccio questa battuta, così gli faccio male”. Non è così. E il problema, per molti versi, è proprio questo.

Perché la mancanza di consapevolezza di queste uscite è la dimostrazione di quanto la grassofobia, il disprezzo per il diverso, sia radicata anche nelle persone più insospettabili.

E si potrebbero aprire pagine e pagine di discussioni al riguardo. Spiegare che la scusa della “salute” è solo una facciata dietro cui ci si nasconde per giustificare il proprio rifiuto di chi ci sta davanti. Sottolineare di quanto qualunque commento sul corpo altrui (troppo grasso, troppo magro, troppo alto, troppo basso) sia una violazione della sua sfera privata che NESSUNO è autorizzato a fare per default. Spiegare che una battuta è tale se chi la riceve la percepisce, gradisce e accetta in tal senso. Altrimenti è bullismo. Mascherato quanto volete, ma bullismo.

Ma c’è una cosa su cui non posso non focalizzarmi e riguarda più o meno le tre situazioni descritte, ma praticamente ogni altra passata.

Il fatto che una persona che mi conosce da anni (o molti mesi), che ha parlato con me, che se delle mie attività, di ciò che faccio, delle mie passioni, del mio lavoro, di almeno parte del mio passato, abbia come primo pensiero quello di commentare il mio aspetto o il mio peso dopo tempo che non ci vediamo significa solo una cosa: che nella sua mente io sono il mio peso in primis. Poi magari viene anche resto, ma la prima immagine nella sua mente non è il Sergio informatico, non è il Sergio che scrive, non è il Sergio che ha un podcast, non è il nerd, non è neanche il compagno della sua amica. No. È il grasso.

Quello è ciò che vede.

Questo è ciò che vedono buona parte delle persone che vedono me e tante altre persone grasse la prima volta (e potenzialmente le successive) che buttano il loro sguardo su di noi.

Grasso.

Una parola che dovrebbe essere neutra, ma che è diventata talmente degradante e offensiva che sto costringendomi a scriverla qui sopra invece di usare quel rassicurante sovrappeso che ho tenuto stretto per sopravvivere mentalmente.

Questo è ciò con cui vivo. Questo è ciò con cui viviamo. Con la consapevolezza che chi ti vedrà ti avrà catalogato prima ancora di rivolgerti la parola e potenzialmente anche dopo.

Che si sentirà legittimato a pensare di poterti dire cose relative al tuo corpo.

A dire che ovviamente ti piacciono i dinosauri, dato che sei uguale al grassone di Jurassic Park. Sì, è successo.

Che sentirà di poter fare battute perché, dai, si scherza.

E no, dire “non devi farti toccare” non funziona. Non sono io a non dovermi fare toccare. Sono gli altri che non devono sentirsi in diritto di farlo. Punto.

Sì, è vero, io spesso faccio battute sulle mia stazza. Ho imparato a farle. Per sopravvivere. Perché ho scoperto fin troppo presto che se le facevo io era un po’ meno doloroso che se le avessi permesse ad altri. Che mi potevo portare avanti per evitare colpi più duri dopo. Che, in fondo, se la gente ti sente fare battute sul tuo aspetto, in parte ti perdona per come appari. Già. Perché si sente in diritto di perdonarti o condannarti per come ti vede. E impari a difenderti così.

In questo momento, nella mia vita, c’è una sola persona che è autorizzata a fare battute del genere. Lo è perché ci conosciamo da una vita, lo è perché c’è una sorta di scambio reciproco e perché lui sa bene cosa significa. E pur avendo l’autorizzazione implicita sono anni che non ne fa una. Anni.

Eppure c’è chi si è sentito autorizzato a farle a prescindere. Eppure c’è chi sta dietro un banco a vendere prodotti alimentari e ti guarda e ti dice che tu devi assolutamente provare perché è evidente ti piaccia mangiare.

Non sto scrivendo tutto questo per farmi dare pacche sulle spalle. Non sto scrivendo neanche per vendicarmi dei casi che ho citato.

Lo sto scrivendo perché fa male.

Lo sto scrivendo perché il silenzio è doloroso.

Lo sto scrivendo perché mi sono odiato per non avere risposto a tono.

Lo sto scrivendo perché a volte, almeno una volta, sarebbe bello sentire qualcuno, una persona qualunque, intervenire in difesa sul momento perché tu sei troppo stupito e ferito per reagire.

Lo sto scrivendo perché forse a qualcuno potrebbe servire.

E già che ci siamo, guardate questo video. Cercate di capire. E mordetevi quella cazzo di lingua ogni volta che volete commentare il corpo di qualcuno.

Grazie.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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