Doom Patrol: Season 1 – genio e follia
A rileggere oggi l’articolo con cui avevamo presentato Doom Patrol si sente quasi un moto di tenerezza, perché col senno di poi è evidente che ancora non ci si immaginava che genere di viaggio sarebbe stato la fruizione della serie.
Ciò che sembrava già un rompere gli stilemi del genere non era infatti che l’antipasto e quel Deadpool che avevamo usato come termine di confronto si è rivelato un paragone del tutto riduttivo per una serie imprevedibile e impossibile da inquadrare come Doom Patrol.
Ogni episodio della stagione ha rappresentato un modo di alzare l’asticella, aggiungendo soluzioni visive, narrative e registiche tanto assurde da essere imprevedibili e, al contempo, perfettamente incastrate nella dinamica di una serie che è riuscita a rendere credibile e sensata l’illogicità e tirando le fila di trame che potevano inizialmente sembrare essere senza agganci, inserite per far volume e, sopratutto, completamente fuori contesto.
Niente di tutto questo.
Che si tratti di un episodio quasi completamente incentrato sulla storia d’amore tra il Chief di Timothy Dalton e una donna delle caverne o di uno scarafaggio portatore della voce di Dio, che si parli di un ratto in cerca di vendetta (e del suo baciare con la lingua il suddetto scarafaggio) o di un supereroe del passato in grado di scatenare i propri poteri flettendo il giusto muscolo, tutto finisce per diventare accettabile e incastrarsi col resto e l’unica cosa che si può fare è assistere affascinati alla successiva trovata, alla nuova idea che arriverà completamente inaspettata.
Il rischio che si poteva correre con una serie del genere era quello di renderla sopra le righe solo per il gusto di farlo, senza raccontare nulla, senza permettere allo spettatore di seguire una storia e appassionarsi ai protagonisti. Chi scrive, per fare un esempio, pur essendosi divertito col succitato Deadpool non ha mai amato quel tipo di comicità quasi esclusivamente volta all’esagerazione fine a se stessa.
In Doom Patrol siamo su un terreno completamente diverso.
Sì, ci sono momenti completamente assurdi: c’è un segugio umano che si nutre di peli corporei, per dirne una.
Si ha un momento nel primo episodio basato sulle flatulenze di un asino e si assiste in uno degli ultimi a un assalto di culi assassini antropofagi.
I culi! Hanno liberato i culi!
C’è una scena in cui per un muscolo contratto erroneamente da Flex Mentallo un’intera popolazione – personaggi principali inclusi – finisce per raggiungere un inaspettato (e come si sarebbe potuto aspettarselo?) orgasmo collettivo e uno dei personaggi è una strada senziente queer.
We’re fucking coming, man!
Eppure tutto questo funziona, perché nel mondo di Doom Patrol si finisce per accettare che sia normale così. O, meglio, che non ci sia normalità. Non per niente, uno dei villain della stagione è un certo Bureau of Normalcy, il cui scopo è distruggere qualunque individuo e aspetto della realtà che si discosti da un certo tipo di eteronormatività e – più in generale – standard imposto.
La simbologia di un nemico come il Bureau rispetto a un alleato come Danny The Street è tanto evidente da non aver bisogno di essere sottolineata, eppure non si può non ribadire i tanti momenti in cui questa serie – lungi dall’essere esclusivamente una serie di trovate spiazzanti – riesce a toccare ed emozionare lo spettatore.
Dalla presentazione dei reietti ospitati da Danny al viaggio nella mente traumatizzata di Crazy Jane con tanto di incontro con le personificazioni delle sue 64 identità, dall’approfondimento sul passato di Mr. Nobody che ci porta quasi a empatizzare con lui alla crescita emotiva di Robotman, il personaggio dal corpo meno umano e allo stesso tempo quello che si rivela costantemente il più vivo di tutti.
Spezza il cuore scoprire i mostri nell’animo di Jane o vivere il dolore di Cliff, ma anche l’assistere alla lenta presa di consapevolezza di Traynor con l’aiuto del suo alter-ego, in una perfetta rappresentazione dell’impossibilità di essere completi finché non si impara ad accettarsi per ciò che si è.
Ovviamente non è una serie perfetta – ne esistono forse? – e non è esente da critiche. Le trame legate al personaggio di Cyborg, per quanto riallacciate in modo funzionale, sono le più deboli e meno interessanti e lo stesso androide stona col resto del gruppo, essendo troppo normale, troppo supereroistico in mezzo a tali disadattati.
Al contempo, alcune delle vicende sono forse tirate un po’ troppo per le lunghe, in particolar modo quella con coprotagonista un comunque ottimo Mark Sheppard che interpreta – sostanzialmente – se stesso: pur divertente e appassionante ha dato l’impressione di allungare un po’ un brodo peraltro sufficientemente saporito.
Si tratta, si sarà capito, di peccati veniali. Per scrittura, regia e – non scordiamolo – interpretazione, Doom Patrol è annoverabile come una delle migliori serie del 2019 fino a oggi, e non ci riferiamo unicamente all’ambito supereroistico anche perché, Cyborg a parte, qui non c’è neanche l’ombra di supereroi.
Ci sono personaggi con poteri, certamente. Ma sono rotti. Fuori dal mondo. Incapaci di vivere e forse anche di sopravvivere. Uniti da una missione che finirà per rivoltarsi loro contro e per rivelare le loro vere essenze, condite tipicamente da una sequenza di what the fuck.
Non è una serie per tutti e molti potrebbero storcere la bocca fin dal primo episodio: in tal caso sconsigliamo di andare oltre.
Gli altri, invece, rischiano fortemente di andare in astinenza al termine, in attesa di una seconda stagione non ancora annunciata.
Nota: di Doom Patrol, Titans e altre serie DC abbiamo parlato anche nell’episodio di Polo Nerd che potete ascoltare qui sotto.