Supernatural: Season 14 – quattordici anni e non dimostrarli
Dopo tredici stagioni di qualità altalenante e una tredicesima che aveva avuto seri problemi di costruzione e gestione della trama orizzontale, ci si sarebbe aspettati una quattordicesima con gli stessi difetti, ma arrivati alla conclusione di questo penultimo percorso di Supernatural possiamo affermare che, al contrario, gli autori sono riusciti a correggere il tiro e a costruire una season organica, non eccessivamente lineare e perfettamente distribuita nei suoi passi narrativi.
Gli annunci che avevano preceduto l’avvio della stagione erano stati piuttosto chiari su un punto: che il villain non sarebbe stato Michael; questo nonostante buona parte dei teaser fosse incentrata sulla possessione di Dean e poco altro fosse trapelato.
Quando, poi, dopo pochi episodi c’era stata la prima liberazione del personaggio, il sospetto che il tutto nascesse solo per sviare lo spettatore e diluire una trama potenzialmente debole era stato più che legittimo, ma fortunatamente le sorprese nono sono mancate.
Mentre, infatti, in passato la trama orizzontale era stata gestita a corrente alternata, col senno di poi la quattordicesima risulta un flusso costante nello sviluppo in cui, pur non mancando gli episodi quasi esclusivamente verticali, non si è mai sentito alcuno strappo né si è notato qualche errore grossolano: al contrario, ogni sottotrama, anche la più apparentemente fine a se stessa come quella di Nick, diventa un tassello fondamentale che porta verso l’esplosivo, imprevedibile finale.
Lo stesso Jack, il personaggio cardine dell’intera stagione, ha un percorso che – rivisto a posteriori – funziona perfettamente nella sua evoluzione e nella drammatica conclusione. Il nephilim, che sembrava inizialmente una sorta di clone potenziale di Castiel, ha attraversato ogni possibile fase relativa alla sua crescita emotiva e alla gestione dei suoi poteri, passando dall’essere l’elemento chiave nella sconfitta di Lucifer e Michael al diventare un cacciatore uguale se non inferiore agli altri, per poi riacquistare i propri poteri a costo della sua anima.
Quest’ultima evoluzione sembrava infine aver indicato lui come vero nemico della stagione, piazzando i Winchester davanti a un dilemma morale struggente: la ricerca della vendetta, la protezione del mondo e, al contempo, il ricordo di ciò che Jack era stato e il motivo per cui non lo era più.
Il punto di svolta, l’uccisione di Mary, rappresenta una pietra miliare nella storia della serie sotto vari punti di vista. Sebbene, infatti, il personaggio della genitrice dei protagonisti non sia mai stato particolarmente amato da noi e dai fan, l’impatto emotivo della sua perdita sui personaggi è innegabile ed è stato gestito perfettamente in un episodio come Absence, dove Sam, Dean e Castiel devono fare i conti con l’accaduto.
La crescita dei fratelli e la maturazione della scrittura evitano la caduta in stereotipi comportamentali e, pur non negando la natura impulsiva di Dean e quella riflessiva di Sam, ne danno una lettura nuova e in linea con quattordici anni di crescita personale: il risultato è indubbiamente il miglior episodio della stagione e uno dei migliori dell’intera serie.
Ma le sorprese non dovevano terminare qui e la rivelazione del vero villain nel solo ultimo episodio è un gioco narrativo che, se gestito male, avrebbe potuto rovinare l’intera costruzione: così non è stato e il ritorno di Chuck, anelato ma comunque non del tutto previsto, ha cambiato nuovamente le carte in tavola.
L’apparente cambiamento del personaggio di Dio è poi imprevisto, eppure perfettamente coerente non solo col suo passato, ma anche con ciò che si è scoperto nelle ultime due stagioni; in precedenza Chuck era sempre apparso come fondamentalmente neutro, anche se vagamente positivo, eppure questa neutralità era sfociata più volte in un menefreghismo di cui la sua sparizione con Darkness era stata il vero e proprio apice.
Con la scorsa stagione si è scoperta l’esistenza del multiverso e, con essa, sono giunte le domande sulla posizione di Chuck al riguardo: perché crearne così tanti? E, soprattutto, era vera la chiave di lettura fornita da Michael, cioè che ogni universo rappresentasse per Dio un gioco da sfruttare fino alla noia per poi abbandonarlo in favore di un altro?
Sebbene Chuck stesso metta in dubbio queste parole durante Moriah, risulta ormai evidente che l’Arcangelo aveva detto la verità: Dio è, in fondo, soltanto uno scrittore che prova infinite soluzioni narrative in altrettante bozze di romanzo che – insieme – costituiscono tutte le possibili varianti delle vite di ogni individuo.
La freddezza che lo spinge a cercare di fare uccidere Jack da Dean, la rabbia nel momento in cui le sue creazioni si ribellano ai tentativi di manipolare le loro esistenze sono perfettamente in linea con questa visione e con un personaggio di cui avevamo voluto vedere solo una delle innumerevoli sfaccettature.
Il dramma della rabbia di Dio, con la conseguente Apocalisse (e arrivo degli Zombie, che effettivamente mancavano in Supernatural) è l’apice finale che apre la porta all’ultima stagione e di cui sono testimoni – e probabilmente futuri elementi discriminanti – anche Billy, l’Ombra e Jack, appena giunto nel Vuoto.
Per una serie che ha sempre alzato l’asticella in termini di avversari. chiudere definitivamente la propria storia con una guerra finale contro Dio è forse l’unica versa scelta narrativa appropriata e, se la scrittura sarà la stessa che abbiamo avuto quest’anno, rischiamo di trovarci davanti a uno dei finali più degni nella storia delle serie di genere fantastico.