The Handmaid’s Tale: 2×06 First Blood

Se non si volessero prendere in considerazione gli ultimi dieci minuti dell’episodio, First Blood sarebbe a tutti gli effetti un punto di assestamento e transizione dopo gli eventi della prima metà della stagione, focalizzato non solo sul ritorno di June dal luogo oscuro in cui la sua mente si era rifugiata, ma anche e soprattutto sulle dinamiche presenti e passate relative a Serena e, in minor misura, a Fred.

[pullquote]Serena è in grado di esprimere dolcezza finché può comportarsi da padrona benevolente[/pullquote]

Tante le contraddizioni evidenziate o portate alla luce.
Contraddizioni di Serena, anzitutto. La donna si dimostra in grado di esprimere dolcezza e gentilezza fin inquietanti e – in vari momenti – fuori luogo, ma solo finché ritiene di essere in controllo e, soprattutto, si può comportare da padrona benevolente nei confronti di una serva succube e dalla quale deve ancora ottenere il suo più grosso premio; nel momento in cui, però, tale serva osa domandare di vedere la propria figlia, il castello di carte crolla e la durezza della signora Waterford torna, portando con sé il sadismo di cui la donna ha sempre dimostrato di essere capace: la gratuità della scena del ferro da maglia gettato a terra esprime tutto il desiderio di rimettere al suo posto l’ancella umiliandola psicologicamente, ennesima dimostrazione del marcio nell’animo della donna.

Eppure, come si diceva, le sue contraddizioni sono molte: il gesto di mostrare la futura nursery, per quanto oggettivamente opinabile, sembra comunque volto alla condivisione con Offred, mentre il tentativo di trovare un terreno comune parlando di serendipità alle ancelle porta a domandarsi se sia tanto accecata dalle proprie convinzioni dal non rendersi conto di quanto sia assurdo e fuori luogo nel contesto attuale.

[pullquote]L’impressione è quella di una donna complessa, che ha soffocato eventuali fragilità dietro il sacro ardore ideologico[/pullquote]

Anche i flashback sottolineano le sfaccettature della donna: la sua apparente fragilità di fronte a una folla inferocita ha come contraltare non solo la rabbia del suo discorso nell’atrio, ma soprattutto la durezza della sua reazione in ospedale, in cui finisce per mostrare disprezzo nei confronti di un Fred disperato e avvilito.

Di nuovo, così, ci viene mostrato il ruolo fondamentale avuto dalla donna nella costituzione del partito alla base di Gilead e sottolineato il contrasto con la fine da lei fatta dopo la rivoluzione: un ornamento del suo Comandante, niente di più e niente di meno.

L’impressione è quella di una donna complessa, che ha soffocato le sue eventuali fragilità dietro il sacro ardore ideologico, convinta – probabilmente – che il suo ruolo di ideologa le avrebbe garantito una serie di eccezioni mai pervenute.

La sua controparte è il marito, uomo che all’inizio della prima stagione era apparso dotato di una certa autorità e che, nel suo proseguo e in questa seconda, ha finito invece per dimostrarsi poco incisivo e finanche manipolabile. Manipolato da Serena nel passato, con tanto di esortazioni a essere più uomo confluite in un omicidio a sangue freddo, e – nei limiti del possibile – manipolato da Offred nel presente, che sa sfruttare i piccoli spiragli forniti dall’infatuazione dell’uomo nei suoi confronti. Non abbiamo mai, colpevolmente, sottolineato quanto il personaggio di Fred sappia essere viscidamente irritante, con il costante sfoggio di un sorriso falso e l’atteggiamento da predicatore portatore dalla verità: una postura assente nei flashback, a indicare quanto l’ascesa di Gilead abbia svuotato di sostanza chi ne era stato primo fautore. Il carburante di certe rivoluzioni è solo distruttivo e, una volta consumato, non lascia molto a chi ne era alimentato.

[pullquote]L’episodio ci mostra nuovi segnali, paralleli al nostro mondo, che non ci si può permettere di perdere di vista[/pullquote]

Si noti l’ennesima contraddizione, così emblematica da sembrare ridicola, non fosse drammatica: durante le proteste contro Serena, Fred urla che non è giusto la moglie venga zittita, che quella è l’America, che tutti hanno diritto di parlare; una scena fugace eppure carica di un significato ancora più importante oggi, in un inquietante parallelo che questa serie propone quasi costantemente: la minaccia dei fascismi mascherati dietro il diritto di parola, il rischio di accorgersi troppo tardi del pericolo di certe frange estremiste che compensano il numero con l’organizzazione, del pericolo di permettere a paure potenzialmente reali di indirizzare su strade oggettivamente inaccettabili; si tratta di segnali che non ci si può permettere di perdere di vista e The handmaid’s tale ce lo ricorda, come sempre, nel modo più duro.

La dose di inquietante morbosità ci viene fatta pervenire, in First Blood, da Nick e la neosposa Eden. La prima volta della ragazza, dovere imposto da Dio per il quale la ragazza si è preparata fin da bambina, viene procrastinata dall’uomo fino al possibile: il rischio di essere denunciato dalla sua stessa moglie per il sospetto di essere un traditore del genere (d’altronde, quale uomo adulto eterosessuale non vorrebbe far sesso con una bambina?) lo porta a cedere e la scena che ci viene mostrata, con tanto di lenzuolo bucato appositamente allo scopo, è quanto di più nauseante ci potesse venire in mente, pur nel suo non focalizzarsi sui particolari.

[pullquote]Il cliffhanger finale può potenzialmente dare alla serie quella svolta di cui si iniziava ad avere necessità[/pullquote]

Ma, come dicevamo in apertura, l’episodio non è soltanto assestamento e sguardo al passato e gli ultimi dieci minuti ci portano a uno stravolgimento che giunge gradito e inaspettato. L’attacco kamikaze di Ofglen, dell’ancella che più di tutte ha subito ripercussioni per la sua ribellione tra quelle non inviate alle Colonie, rimette in discussione vari elementi che non potranno non influire nel proseguo della stagione: anzitutto, ovviamente, la potenziale morte di Fred e di molti comandanti (che speriamo sinceramente venga confermata, siamo stufi dei cliffhanger inutili proposti già altrove), ma anche la dimostrazione che la ribellione è ben lungi dall’essere stata soffocata o sconfitta. Un attacco del genere è una dichiarazione di guerra vera e propria che dà al titolo dell’episodio un significante pregnante e minaccioso (e, diciamocelo, evita la morbosa associazione all’altro evento citato poco sopra).

Le domande, ora, sono molte: quali conseguenze ci saranno per June e, ovviamente, Serena? Quali sono i segreti su Fred che Nick era pronto a rivelare ai suoi capi? Chi è morto? Quali saranno i prossimi passi della ribellione?

E, infine, prendiamo un istante per renderci conto che questo episodio ci ha fatto reagire con gioia a un attacco terroristico: una situazione psicologica voluta e comprensibile, ma che dovrebbe portare a riflettere sul potere che il sentimento di oppressione o il bisogno di rivalsa possono avere su chi li sperimenta sulla propria pelle, siano essi ben fondati come in Gilead o indotti come in altre situazioni.

Un colpo di scena ben giocato, quindi, non gratuito e completamente imprevedibile che può potenzialmente dare alla serie quella svolta di cui si iniziava ad avere necessità.

Non ci resta che attendere impazienti.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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