Dove sei finito?

Inutile nasconderlo, in questi giorni il blog non è la priorità. I fattori sono diversi e il tempo è, di certo, uno dei più importanti, ma non il solo.

Dopo la perdita di Stitch, scrivere avrebbe significato passare soprattutto il tempo a ripetere quanto il dolore fosse forte e quanto mi mancasse: tutte cose vere allora come ora, ma scriverle più di un certo numero di volte perde la sua utilità e il suo interesse.

Poi sono arrivate le due pesti e il bestione e le giornate si sono riempite di loro, del conoscerci, del giocare insieme, dell’impararne i caratteri, del risolvere i danni delle due pesti, del far sentire Sheppard sempre più a suo agio.

Domani sarà un mese che sono arrivati. Ieri sera Sheppard, per la prima volta, mi è salito sulla pancia. Non per molto, ma significa molto. Lui, l’ho detto a tante persone, è stato una scommessa: avevo capito che era un gatto che stava male perché non soffriva stare lì, ma che al di fuori avrebbe potuto cambiare completamente. Ci è voluta e ci vorrà pazienza, ma il cambiamento in un mese è impressionante: i primi giorni se ne stava in studio, mangiava lì, non voleva essere avvicinato dalle pesti. Oggi giocano insieme, mangiano insieme e al massimo sono loro due a doversi lamentare se lui diventa troppo irruente.

Nel frattempo Sissi, sempre ruffiana, ogni tanto si arrampica sulla mia poltrona e poi sulle mie spalle. Dice che sta comoda. Sasha è la selvatica e l’atleta. Si fa coccolare molto meno, ma quando ha voglia sono tante fusa. È lei che ha iniziato a far cedere Sheppard, lei che si è messa a camminare sul box doccia e sempre lei che ora, la sera, si piazza ammirata davanti alla televisione.

Chi mi segue sui vari social finirà per odiarmi o defollowarmi per la quantità di loro foto che pubblico. Pazienza. Nel tempo mi è capitato di sorbire foto che mi interessavano poco o nulla, ora è il mio turno. Che le testimonianze, lo so bene, non sono mai abbastanza e, mi spiace, averle su un social permette di averle sempre e comunque a disposizione.

Ed è condividere qualcosa di prezioso per me pensando che a qualcuno possa interessare: legittimo non sia così, legittimo che mi importi poco in tal caso.

Ci siamo salvati a vicenda, è inutile dirlo. Stitch manca e mancherà sempre, ma senza di loro non avrei ricominciato ad alzarmi, non in tempi così brevi. E loro, beh, loro hanno trovato Eldorado, diciamocelo.

Poi si lavora. Quasi sempre da casa, il che mi permette di stare con loro quando più serve. Mi piace lavorare così, con progetti e obiettivi, ma senza scansioni eccessivamente pressanti: sono i momenti in cui sono in assoluto più produttivo.

Poi, nel frattempo ci sono quei clienti minori o addirittura ex-clienti che ti fanno ricordare perché li vuoi abbandonare o li hai abbandonati.

Tipo quelli che non rispondono a fatture e solleciti fino al giorno prima dell’ultimatum prima dello spegnimento di sito e posta. Allora ti fanno il bonifico, come nulla fosse.

O quelli che, dopo che tu hai comunicato loro che, non avendo rinnovato i contratti, non abbiamo più attivo nessun servizio da me fornito, ti mandano lettera dall’avvocato per comunicarti che non abbiamo più nessun servizio insieme. Ma va?
Certo, la lettera ribadiva anche l’impegno di riservatezza ma:

  1. non hai bisogno di un avvocato per ribadire l’impegno di riservatezza.
  2. io non ho mai comunque firmato alcun impegno di riservatezza né sono mai stato nominato titolare di dati riservati
  3. io il problema non me lo sono neanche posto perché, per come lavoro io, sarebbe inconcepibile anche solo pensare di diffondere informazioni non mie. Ma si sa, i primi a sospettare sono coloro che agirebbero esattamente in un certo modo.

Comunque sia, rapporti chiusi e per fortuna così.

Che, in genere, i rapporti chiusi possono essere un gran bene, su ogni fronte. La vita è breve, sempre più breve, e sprecarla con chi ci fa stare meno che bene è stupido e masochista. Sarebbe il caso di ricordarcelo un po’ più spesso.

Che altro? Domenica ho aggiunto due pagine al romanzo. Lo so, sembra un numero ridicolo, ma scrivere dopo Stitch era pressoché impossibile e farlo domenica è stato complesso e in qualche modo doloroso. L’ultima volta ci avevo lavorato l’ultima domenica che avevamo trascorso insieme. Non è facile. Per niente. Ma qualcosa l’ho scritta.

Così come continuo a scrivere recensioni per serialfreaks: non ve ne siete scordati, spero.

E intanto si definiscono gli impegni dell’anno, quei momenti da attendere con ansia. Londra a maggio è ormai vicina e con lei Rory Kinnear e il suo Macbeth. E poi a luglio di nuovo lei, a sorpresa, per vedere Sir Ian McKellen in King Lear. Un sogno diventato realtà. E ancora poi Sting. E poi il mare (incredibile) ad agosto. E Lucca. E un’ultima Londra per rivedere Katie Melua.

Tante cose, tanta vita, tanta voglia di goderne una per una.

E qualche pensiero, quello c’è sempre. Oltre a quella maledetta attesa che ormai sembra solo cronica, ci sono cose più astratte. Forse. L’impressione che il tempo sfugga più che mai. L’impressione di non essere e fare mai abbastanza. Di essere troppo poco

Pensieri che magari approfondirò. Forse.

Ma intanto domani accompagno un’amica a prendere il suo primo gatto e sorrido perché sono felice per lei ma anche onorato che mi abbia chiesto aiuto.

E va bene così.

Un post dei più sconclusionati, come sembrano ormai la metà di quelli che scrivo.

Ma è qualcosa anche questo. E anche questo va bene così.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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