Appuntamento 35 anni dopo
Questo è un post che potrebbe tranquillamente essere visto come la parte finale di una trilogia di cui gli episodi precedenti risalgono a luglio e, precisamente, qui e qui.
Ieri era il giorno tanto atteso, quello in cui avrei finalmente assistito alla reunion di chi, trenta e passa anni fa, ha tanto contribuito a fornirmi le basi di ciò che poi sono diventato.
Ho detto più volte di essere cresciuto a pane, eroi marvel e Saranno Famosi e non voglio stare a ripetermi, ma è importante per capire quanto questo momento fosse speciale e unico.
Casi vari hanno fatto sì che nessuno potesse accompagnarmi, tanto che in qualche istante mi sono chiesto se fosse valsa la pena andare comunque: un concerto da solo ancora mi mancava e un evento del genere avrei voluto viverlo con qualcuno che sapesse condividere la mia gioia. Poi, però, mi sono ricordato di quanto questo momento sarebbe stato fondamentale per me, di quanto mi sarei odiato se l’avessi perso e di quanto sarei stato probabilmente circondato di persone altrettanto felici di essere lì e, insomma, sono partito.
Alle 17.30 ero in macchina in direzione Salsomaggiore.
Arrivato, parcheggiato, fatto un giro al teatro, chiacchierato brevemente con lo staff. Ho chiesto se ci fosse possibilità di avere un autografo dopo lo spettacolo, mi è stato risposto che era improbabile, che dopo c’erano una cena e un party e non ci sarebbe stato tempo.
Pazienza, mi sono detto. Intanto sono qui.
Il tempo di fermarmi a mangiare una (buona) pizza e poi in attesa per entrare.
Seduto, non troppo avanti ma comunque in modo da vedere bene, la poltrona libera accanto a me a reggere il mio giubbotto e il cellulare per i video, ero pronto.
Poi è iniziato tutto.
Due ore e oltre di spettacolo, più di certi concerti.
Due ore e oltre in cui Erica Gimpel, Lee Curreri, Carlo Imperato, Valerie Landsburg, Jesse Borrego, Cynthia Gibb e Nia Peeples hanno cantato, parlato, interagito, ricordato.
Sono stati perfetti?
No. Non se parliamo delle capacità vocali.
Stiamo parlando di persone di oltre cinquant’anni che, in molti casi, non cantano professionalmente da tempo, per cui non si può chiedere la perfezione. E non la si cerca.
Perché quello che ieri sera hanno donato sono state emozioni. È stata la gioia di condividere dei momenti con chi li ha amati e tra di loro. È stato vedere persone che hanno creato qualcosa di fantastico insieme riviverlo con la gioia e la consapevolezza di oltre trent’anni di vita. È stato vederli giocarci e scherzarci, ma anche voler dare se stessi e le propri emozioni.
L’inizio è stato un po’ rigido, imbarazzato, con la comunicazione con l’host italiano un po’ forzata. Ma poi tutto si è scaldato. La musica è fluita, le parole, i ricordi. La gioia. Il calore loro verso il pubblico e del pubblico verso di loro.
Hanno cantato pezzi che tutti noi conoscevamo a memoria, inclusa quella “Could we be magic” di cui parlai secoli fa e che trovate in Radio Blog.
Hanno cantato una loro versione di La Pioggia di Marzo ,di Il vecchio e il bambino, di Man in the mirror e di One Love ed Erica Gimpel ha proposto due sue canzoni originali.
Hanno ricordato, cantando di nuovo StarMaker, le spalle rivolte al pubblico, i volti allo schermo che mandava immagini, la memoria di chi se n’è andato per età o altro. Hanno salutato Albert Hague, Ann Nelson, Michael Toma, Carrie Hamilton e, ovviamente, Gene Anthony Ray, in un momento semplice e commovente.
Ho avuto i brividi, più volte, per buona parte del concerto.
E alla fine, su quell’unica canzone che non poteva non esserci, io e altri eravamo sotto il palco a cantare e urlare e stringere mani. Quella di Cynthia Gibb, nel mio caso.
E quando il pubblico non voleva andare via, non essendo previsto un bis, sono tornati a salutare e a farsi i selfie con lo sfondo della gente.
Ma non è finita lì, non poteva finire lì.
Nonostante quello che mi era stato detto, ho scrollato le spalle e sono andato alla porta sul retro.
Ho scoperto velocemente che non ero il solo, almeno dieci o quindici persone sono arrivate dopo di me.
E alla fine sono usciti. Tutti, ho perso solo Carlo Imperato. Prima Lee Curreri, poi Cynthia Gibb, poi Valerie e Nia e infine Erica.
E tutti si sono fermati. Tutti sono stati felici di chiacchierare, abbracciare, fare foto. Anche quando venivano chiamati per la cena successiva, non hanno deluso nessuno. Hanno ringraziato noi di esserci stati. Erano felici e modesti e quasi stupiti della nostra gioia.
Potevo andare a casa, uscito dallo spettacolo.
Potevo ascoltare quello che mi era stato detto. Ma il mio “sai che c’è? Io ci provo” mi ha donato nuovi ricordi che terrò stretto.
E qualche piccolo appunto sparso voglio aggiungerlo, per me, per ricordare ogni cosa.
- Erica Gimpel ha ancora una voce notevole e una capacità di stare sul palco invidiabile
- Jesse Borrego fa fatica su certi pezzi, ma quando sono adatti alla sua voce sa emozionare
- Carlo Imperato è smemorato come pochi
- Valerie Landsburg ora sembra un po’ quella zia un po’ pazza con alle spalle una vita scapestrata: vederla cantare High Fidelity ha prodotto sensazioni miste, tipo Mrs. Doubtfire mentre balla. Eppure ha una gran voce ed è adorabile.
- Su “Friday Night” Nia e Cynthia si sono unite a Jesse e Carlo, facendo da cast di supporto. Vederle giocare con loro, con la consapevolezza della loro età eppure la voglia di stuzzicare e divertire è stato bellissimo.
- Lee Curreri parla lo stesso italiano degli italoamericani di New York, con lo stesso accento. Nel backstage sembrava stupito che lo ringraziassimo per le foto insieme. E un ragazzo che lo conosceva gli ha portato un pacco di cioccolata rendendolo molto felice.
- Cynthia Gibb è bellissima e, all’uscita, ha cantato brevemente con due ragazze. Con me ha voluto fare due volte la foto, perché non le piaceva la luce della prima.
- Anche Erica Gimpel è bellissima e di una dolcezza unica. Era lì con la madre, una signora coi capelli bianchissimi che attendeva con calma in disparte.
- Valerie Landsburg, anche lei dolce da non credersi, ha ascoltato i miei sproloqui sull’essere cresciuto con loro e sul sogno diventato realtà. E mi ha abbracciato. Nella nostra foto insieme Nia Peeples ci ha involontariamente fatto photobomb.
- Nia Peeples, che è tanto bella quanto bassina (ma adorabile) è stata protagonista di una mini scenetta. Una ragazza prima di me le ha detto, in italiano, che era bellissima mentre si approcciava per fare una foto. Lei ha risposto “of course”, convinta che avesse detto “ci facciamo una foto insieme?”. Quando uno degli organizzatori gliel’ha fatto notare ridendo, lei – imbarazzatissima – ha detto “ecco come nascono poi le voci negative”. Così, quando mi sono avvicinato per chiedere una foto, prima mi ha detto “certo” e poi “mi hai chiesto di fare una foto, vero?”, ridendo. “Sì, assolutamente, ma comunque stavolta andavi sul sicuro, te l’ho detto in inglese”. “Eh, ma ora dubito anche del mio inglese”.
- Jesse Borrego era felice dello spettacolo, dei fan europei, dell’essere lì
- Valerie Landsburg, vedendomi vicino a lei che smanettavo sul cellulare (preparavo per la prossima foto) mi ha chiesto se la foto fosse a posto, altrimenti l’avremmo rifatta.
Ma questi sono i fatti.
Ciò che, di più importante, è nato ieri sera è stato il calore. La sensazione di ritornare a casa. So che può sembrare assurdo ed esagerato, ma vivere un momento del genere oggi, con tanti cambiamenti in corso, con amarezze, difficoltà, pensieri passati o presenti, è stato ricordarmi da dove vengo. Ricordarmi cosa sono io alla base. Ricordarmi ciò che è alle mie radici. Mi ha fatto stare bene, più di quanto pensassi, più di quanto sperassi.
Quelle parole, quelle note, quei volti mi hanno donato tanto quando ancora ero un ragazzino solo, con pochi o nessun amico e l’hanno fatto ieri sera, a trentacinque anni di distanza, con l’uomo che sono diventato.
È stata una notte di doni. Il dono di fan che li hanno amati e sono tornati a vederli da ogni luogo (c’erano persone dalla Gran Bretagna, dalla Polonia, da Bruxelles) e il dono loro ai fan, di cui ho detto tanto e a lungo.
E così è finita.
Trentacinque anni dopo.
A chiudere un cerchio.
A dire grazie e a farmi, in qualche modo, dire grazie.
L’avessi detto al me stesso quindicenne non ci avrebbe mai creduto. Io stesso stento a crederci, tanto da cercare di mettere in questo post più cose possibili. Per ricordare, con questo e con i tanti piccoli video fatti durante la serata. (Sì, ho fatto molti video. Ma ho goduto tutto, perché da seduto non avevo bisogno di guardare lo schermo e, da seduto, non ho rotto le palle a nessuno accanto o dietro).
Non penso sia un post bello.
Non penso neanche sia in grado di trasmettere altro che una parte delle emozioni.
È un promemoria. E un ringraziamento. E una celebrazione.
Grazie, ragazzi.
Da me e dal me stesso quindicenne.
Grazie