Più di quanto creda

Sul mio albero, oggi, ho messo un Tardis e una Morte Nera. Perché ho deciso l’anno scorso che ci stavano bene e avevo ragione.
Sul mio albero ci sono Jack e Sally, perché Nightmare Before Christmas era ora avesse un suo posto.
Sul mio albero ci sono due palle legate al SottoSopra. Perché sono splendide, perché le ha fatte una mia amica, perché sembrano nate per essere appese.
Sul mio albero c’è un Awesome Mix. Perché sì.
E ci sono uova di drago. Perché è natività anche per loro. E poi Dracarys.
Sul mio albero, poi, ci sono quattro palle col faccione di Olaf. Perché, dai, non vuoi metterci Olaf?
Ma sul mio albero ci sono anche tre puffi. Il Grande Puffo che fa Babbo Natale, un Puffo che suona la grancassa e Puffetta che canta.
Sono su ogni mio albero da quando avevo sette o otto anni e sono perfetti allora come oggi.
E sul mio albero ci sono due uccellini. Uno arancione e uno verde. Con le piume coperte di glitter dorati, ormai molti dei quali caduti.
Uno di quegli uccellini non ha più la coda, l’ha persa non so quanto tempo fa.
La base, con la molla, è arrugginita.
Eppure sono in bella vista, in alto, vicino alla punta.
Quello con la coda mozzata è sempre rivolto verso l’esterno, non vorrei si sentisse in imbarazzo.
Ma sono sempre lì.
Sono lì da 30, forse quarant’anni.
Da quando l’albero si faceva in questa stanza, così diversa da oggi, altissimo, messo sopra un mezzo tronco vero, avvolto in una carta marrone.
Da quando usavamo quei fili dorati e argentati per coprire i cavi delle luci e che non uso più perché non mi piacciono.
Da quando mio padre passava anche un’ora a cercare la luce fulminata nella serie di decine e poi la scollegava e ricollegava facendo tornare a funzionare tutto il filo. Mi sembrava magia che ci riuscisse.
Da quando facevo i capricci perché volevo aiutare e facevo regolarmente innervosire mio padre perché, diciamocelo, facevo più danni che altro.
Ma gli uccellini li mettevo sempre io. E li guardavo così belli. E mi affascinava che fossero l’unico addobbo che si metteva sul ramo e non appeso.
E sono ancora lì.
E ci rimarranno finché non voleranno via.

Ora sono seduto qui, in penombra, con le sole luci dell’albero accese.
Vedo il Tardis, la Morte Nera, le Uova, Jack.
E vedo palline di cui non ricordo la provenienza.
E vedo le luci comprate quest’anno.
E vedo quegli uccellini.
E ne vedo l’insieme armonico.
Il passato remoto, quello recente. Il presente.

Insieme, fusi, a rendersi migliori l’uno con l’altro.

E penso, o almeno spero, che forse quest’albero mi somigli più di quanto credo.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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