Delle conseguenze di certi momenti
Ormai quasi una settimana fa ero a un funerale. Mia zia, l’ultima sorella ancora in vita di mia madre. Probabilmente l’ultima volta che l’avevo vista era stata nove anni fa, al funerale di mio padre.
Perché va così, soprattutto nella mia vita, e il passato e il presente raramente si sfiorano, figuriamoci convivere.
Non ci vedevamo da anni e, prima di allora, da almeno altrettanti, ma essere al suo funerale ha significato dire addio a una generazione e all’ultimo legame di un certo tipo, anche se simbolico, con mia madre, a più di ventun’anni dal suo essersene andata.
È stato strano essere lì e incrociare il presente del mio passato. Cugine che non vedevo da tanto ma il cui abbraccio non ha cambiato il calore e il sapore di una volta e altri parenti con cui, pur non essendoci mai stato un legame profondo, abbiamo condiviso il momento e la sua importanza.
Il passato. Ho un rapporto strano col passato. Influenza la mia vita con esperienze e ricordi ma non c’è quasi nulla della mia vita che abbia radici materiali così indietro. Non c’è nessuno, nella mia vita di oggi, che sia stato costantemente presente in più di vent’anni. Nessuno. E la cosa suona strana, quando vedo gente che ha amicizie dall’infanzia.
Io no. Ho amicizie a cui tengo che sono tornate dal passato, ma hanno saltato decenni. Non è la stessa cosa.
Probabilmente il problema, se vogliamo chiamarlo così, sono io. Il mio evolvere, il mio cambiare, il mio non venire a patti con ciò che non mi va bene. Il mio, diciamocelo, essere rompicoglioni. Perché ci sono cose che per me sono insuperabili. Gocce che, quando fanno strabordare, non permettono di tornare indietro. Non per un bel po’, quanto meno. Il prezzo da pagare è questo, che intorno a me tutto cambi e che, potenzialmente, io possa rimanere senza nessuno o quasi accanto.
È un rischio di cui sono consapevole. Se accadrà non ne sarò felice, ma se facessi buon viso a ciò che non mi fa star bene, probabilmente lo sarei comunque ben poco.
E domenica, poi, è morta un’altra persona.
Non un amico, non un parente, ma un conoscente che ho incrociato, in qualche modo, per anni della mia vita e che, comunque, rispettavo.
L’ho saputo martedì.
Morto non per malattia pregressa, non per un incidente.
Si è alzato dal divano e si è accasciato.
Così.
E io lo so che questo discorso l’ho fatto altre volte, ma me ne fotto, perché serve, serve a chi legge e serve a me.
Un momento prima c’era, poi basta.
Un momento prima stava probabilmente pensando alla giornata lavorativa del giorno dopo, o a cosa fare a Natale o a qualche scazzo personale o lavorativo o magari semplicemente era rilassato.
Poi basta.
E ciò che era in sospeso è rimasto così.
Ciò che era stato rimandato è diventato mai.
Ciò che poteva essere detto non lo sarà più.
E io continuo a ripeterlo, a voi e a me. La piantiamo di pensare ci sia tempo?
Avete detto “ti voglio bene” a chi lo merita?
Vi siete scusati per un torto fatto?
Avete fatto quella cosa che prima o poi si farà?
Avete scritto?
Avete cercato di realizzare il vostro sogno?
Avete baciato, abbracciato, fatto l’amore?
Avete fatto qualcosa che vi fa stare bene?
Avete mangiato qualcosa di buono?
Avete telefonato o scritto a qualcuno che vi manca?
Avete riso?
Avete riso, oggi, accidenti a voi?
Avete vissuto?
Non è pessimismo, non è allarmismo, non è essere esagerati.
L’unica certezza che avete è qui e ora.
Chiedetevi se, dovesse succedere ora, sareste appagati.
Se la risposta è no, agite di conseguenza.
Oggi, non domani.
Oggi.
Per la cronaca: la risposta sarà, se siete sinceri, quasi sempre no, ma non importa. Quello che importa è cercare di avvicinarsi sempre di più al sì.
La mia risposta è no.
Ma ci sto lavorando.
O almeno ci provo.