Samhain (2017)

Prima di scrivere questo post sono andato a riguardare quelli degli ultimi due anni.
Due anni fa non sapevo ancora che anno mi si sarebbe presentato davanti. Avevo idea che sarebbe stato complicato, non immaginavo quanto. Avevo speranze “normali”, sogni, desideri, rimpianti. Quasi tutto passato in secondo piano da ciò che è arrivato e dal bisogno di sopravvivere.
Un anno fa lo scrivevo appena tornato da Lucca e oggi lo scrivo un giorno prima di partire, come facce simili ma diverse della stessa medaglia, speculari in ciò che mostrano e in ciò che nascondono. Lo scrivevo dopo quell’anno terribile che mi aveva fatto vivere nel terrore ma anche nel dolore e che mi aveva salvato grazie alla speranza di chi aveva voluto esserci. L’anno scorso scrivevo che mi apprestavo a (voler) rinascere.

Oggi.

Oggi posso dire che l’anno appena trascorso è stato un incubatore e, col senno di poi, non poteva essere altrimenti: non puoi attraversare momenti tanto duri e non risultarne segnato al punto da dover mutare, da dover inglobare le esperienze fatte per diventare qualcosa di diverso. Di più completo, forse. Più te stesso, se vogliamo.

Eppure ci vuole tempo. La pelle morta impiega periodi lunghi a staccarsi e cadere e non sempre si sa per certo quali parti siano morte e quali vive.

Potrei parlare di un anno in cui, come quasi sempre, ci sono state delusioni, ma se voglio essere sincero non è esattamente così: ci sono state conferme; conferme a pensieri che possono essere più o meno latenti, che si possono ignorare più o meno coscientemente. Sono delusioni, se vogliamo, intese come “mancanza di contraddizione quando si sperava invece di sbagliarsi”. Ma va bene così, è giusto così, è necessario così.

È stato un anno in cui c’è stato dolore improvviso, imprevisto, ingiusto, come solo i veri dolori sanno essere. Inconcepibile quando arriva, sovrastante mentre lo vivi, incancellabile dopo che gli sei sopravvissuto.

È stato anno di allontanamenti più o meno espliciti, di nuovi avvicinamenti e riavvicinamenti e la conseguente conferma che non sempre il tempo e la distanza possono davvero dividere, così come non sempre la vicinanza tiene uniti. L’anno in cui è stato bello vedere confermato che le sensazioni a distanza, se nate tra persone sincere, si confermano dal vivo. L’anno in cui conoscenze quasi casuali si sono tramutate in amicizie in crescita, tra cene, film, passeggiate e cazzate sparate a raffica.

È stato l’anno, di nuovo, di Gaiman, di tre viaggi a Londra, del Comicon vissuto da un nuovo punto di vista, delle foto con David Tennant ed Andrew Scott.

L’anno dell’inizio della collaborazione con SerialFreaks e il mio mettermi così alla prova con un pubblico nuovo.

L’anno di Berlino e delle bande di passerotti.

Ma, soprattutto, è stato l’anno in cui ho cominciato a ridiscutere il mio modo di essere. Non per gli altri, ma per me stesso. Per vivere meglio.

Ho iniziato a imparare a lasciare andare, a capire che certe situazioni o persone o dinamiche, semplicemente, possono smettere di essere adatte a noi e l’unica è accettarlo e andare avanti.

Ho iniziato a fare i conti con la mia difficoltà nella solitudine forzata (che quella scelta ormai la so vivere bene).

Ho iniziato (e pensare che ci lavoro solo da trent’anni) a prendere atto che quando sei il solo a cercare una o più persone, evidentemente quelle persone non hanno quel gran desiderio di vederti o sentirti.

Ho iniziato a dire “sai che c’è? Ma vaffanculo”. 

Ho iniziato a non scaricare più la posta del lavoro sul cellulare.

Ho iniziato a capire che se voglio stare bene, allora devo evitare il troppo veleno che ho accettato da sempre, da me in primis.

Non è facile, certe abitudini e certi comportamenti sono troppo radicati per sparire da un giorno all’altro, ma ci sto lavorando.

Soprattutto ho compreso quali sono le mie priorità anche in ambito lavorativo: una presa di coscienza di cui potevo avere sospetti da tempo, ma che una volta raggiunta permette una leggerezza d’animo imprevista anche in caso di scelte difficile.

Samhain cade in questi giorni perché rappresenta l’andare a dormire del mondo prima della notte invernale, per poi accogliere la rinascita primaverile: ecco, questo è un anno in cui questa simbologia sembra perfettamente azzeccata.

Non sono cambiato. Sto cambiando. E sono curioso di vedere cosa sarò domani.

Non voglio fare auspici: il 2016 mi ha insegnato quanto possano venire stravolti.

So qualcosa che arriverà.

Arriverà Lucca a brevissimo.

Arriverà un matrimonio speciale (per gli sposi ma anche per me) poco dopo.

Arriverà la reunion di Saranno Famosi ai primi di dicembre (e se sarò costretto ad andare da solo, amen).

Arriverà Londrà a Capodanno.

Arriveranno nuovi articoli su SerialFreaks, nuovi post sul blog, nuove pagine del romanzo.

Arriveranno nuove sfide lavorative, ovunque esse siano.

Arriveranno, suppongo, film, spettacoli teatrali, concerti, pizze, cene.

Arriveranno, ne sono certo, delusioni ma anche gioie a sorpresa.

Arriveranno baci, abbracci, lacrime e sorrisi.

Arriverà, forse, la parola fine definitiva che da tempo si attende.

Arriverà un anno di vita, con tutta la banalità che questa frase comporta e tutta la meraviglia che questo concetto rappresenta.

Buona rinascita.

Buon Samhain.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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