Piccole fragilità
Chi ha un animale in casa, soprattutto cani e gatti, riconoscerà quello di cui sto parlando.
L’avere un pet rende, tipicamente, estremamente protettivi nei suoi confronti: ne riconosciamo la dipendenza da noi, la fragilità, il bisogno che hanno delle nostre attenzioni (sì, anche i gatti).
Casi eccessivi a parte, siamo in grado di riconoscerne l’umore, di sapere se sono contenti, se sono spaventati, se non stanno bene e via dicendo: sono sotto la nostra protezione; quando Zen era malato, il suo benessere era fondamentale per me e il prendermi cura di lui, delle sue esigenze, era diventato parte principale di ogni giornata. I ritmi erano dettati dal cercare di nutrirlo a intervalli regolari, dal dargli il cortisone agli orari stabiliti, dall’organizzare in casa in modo che non potesse farsi male e che quando, regolarmente, avrebbe vomitato potesse sporcare il meno possibile.
Zen era sempre stato uno dei gatti più indipendenti che io abbia mai conosciuto, eppure in quei giorni sapeva che mi prendevo cura di lui e lo accettava di buon grado (o suo malgrado), stringendomi giorno per giorno il cuore.
Una sensazione di tenerezza simile ma, per fortuna, più allegra ce l’ho a volte quando Stitch dorme sul divano, sulla scrivania o sul letto vicino a me.
Spesso non capita nulla, al massimo russa, ma ci sono volte in cui inizia a sognare e agitarsi nel sonno, anche in modo piuttosto acceso.
Alcune di queste volte mi capita di svegliarlo delicatamente e di vedere, nel momento del risveglio, la sua confusione, il non capire cosa fosse sogno e cosa no, e l’accettare con piacere le coccole che gli spettano.
Ecco, quel momento di spaesamanto mi ricorda la sua fragilità e, in piccola parte, riesce sempre un po’ a commuovermi.
Ma, lo so, chi ha animali può capire. Gli altri forse.