Un salto indietro
Nel 1936, Vittorio Emanuele Terzo emanò un decreto ordinando che tutti (o molti) i palazzi delle città principali fossero dotati di rifugi antiaereo; alcuni proprietari adattarono delle cantine, le aziende più importanti poterono costruirne di propri a difesa dei lavoratori, ma chi non poteva usufruire di una soluzione o di un’altra aveva ancora una possibilità: usufruire dei rifugi pubblici che, nel frattempo, vennero costruiti.
A Milano sembra ce ne siano una sessantina, alcuni in luoghi più o meno prevedibili o evocativi (sotto il sagrato del Duomo, vicino al famigerato binario 21 della Stazione Centrale), altri meno; uno di questi si trova in Piazza Grandi, vicino al centralissimo Corso XXII Marzo e, dopo essere stato da poco restaurato, è ora possibile (ma non sempre) visitarlo gratuitamente, cosa che sono riuscito a fare oggi.
Il rifugio, completamente sotterraneo, si trova sotto la fontana della piazza e, prima scoperta, tale fontana su costruita proprio per nascondere la presenza del rifugio stesso, al punto che l’enorme struttura in granito da cui fuoriesce l’acqua non è altro che un mascheramento dello sfiatatoio che permetteva il ricambio dell’aria al di sotto.
Il rifugio, che copre un’area di 17×23 metri, era progettato per accogliere fino a 400 persone (che, se fate i calcoli, significa circa un metro quadro a persona) e non era dotato di praticamente nessun tipo di servizio: la luce elettrica, anche se presente, non poteva essere garantita (e avrebbe consumato ossigeno), l’allacciamento alla rete idrica serviva solo ad alimentare la fontana (e pertanto non era potabile), mentre non esistevano collegamenti alla rete fognaria.
Le stanze (circa sei) contenevano delle panche, le indicazioni su dove trovare un bagno di fortuna e i secchi di acqua potabile e praticamente nient’altro; certo, la permanenza al di sotto doveva essere il più breve possibile, ciò non toglie che l’esperienza fosse sicuramente piuttosto spiacevole.
La criticità maggiore era rappresentata, prevedibilmente, dalla potenziale mancanza d’aria: mettete 400 persone in altrettanti metri quadri in una struttura sotterranea e, sfiatatoio o meno, se non avete un impianto di filtraggio più che adeguato, l’aria si saturerà di anidride carbonica fin troppo in fretta; per questo motivo, sembra ci fossero delle biciclette (sì, biciclette) utilizzate per generare spostamento d’aria ed evitare il rischio di soffocamento: non so bene come l’idea funzionasse, non so neanche se funzionasse, ma questo è quanto.
Scendere in un luogo del genere vuol dire camminare in un passato di cui non sappiamo mai a sufficienza. Non è arte, è vita passata, è muoversi in luoghi dove la gente ha temuto per le proprie vite, ha sopportato privazioni per essere sicuri di poter sopravvivere. Eravamo in una ventina, oggi, durante la visita: entrando in ognuna di quelle stanze non la riempivamo neanche la metà di quanto potenzialmente doveva essere fatto in occasione di un attacco, eppure pochi minuti in quello spazio con così tanta gente riescono a generare un senso di oppressione e insofferenza difficilmente descrivibili.
Non si tratta di qualcosa di bello da visitare, ma di certo di qualcosa di molto interessante.
Tenente d’occhio il sito o la newsletter del comune di Milano per sapere quando ci saranno altre date disponibili e, se potete, recatevi a fare una visita: dura poco meno di un’ora, ma è un bell’arricchimento personale.