25 anni
Era un sabato, il 9 maggio del 1992.
Ricordo alcune cose, non tutte, mai tutte.
Ricordo che i miei erano alla casa in campagna dal venerdì o forse prima, ricordo quindi di avere preso il treno per raggiungerli, ricordo come un flash qualcosa relativo all’arrivo in stazione.
E ricordo, ma per ricostruzione più che per memoria, che quel pomeriggio mia madre mi mandò a comprare alcune cose al negozietto in paese, ovviamente in bici, dato che avevo compiuto diciott’anni solo tre settimane prima e non ho mai avuto uno scooter.
Poi, di quello che successe dopo, non ho memoria diretta, lo so perché mi è stato raccontato.
Un incrocio, io che esco con la bicicletta, una macchina che arriva sparata e mi prende in pieno, io che mi ribalto sul cofano, ne spacco il parabrezza con la testa e finisco sull’asfalto.
Ambulanza, elicottero, ospedale di Novara.
Nessun osso rotto, ma un trauma cranico che mi fece perdere tutta la memoria recente, in parte mai più recuperata e che per anni (mai capito perché) mi fece soffrire le situazioni di troppo caldo.
Quella sera, tornando a casa distrutti dall’ospedale (io fui dimesso un paio di giorni dopo), ai miei fu detto che Lupo era sparito, sembrava scappato. Mia madre lo chiamò disperata e lui, dopo un po’, tornò di corsa esattamente dalla direzione in cui avevo avuto l’incidente.
Coincidenza? Forse. Eppure Lupo non è mai scappato né prima né dopo.
Comunque sia quel giorno di venticinque anni fa rappresenta uno dei punti fermi della mia vita e non sto a ricordarlo per quello che ho sofferto, ma per quello che mi ha, ne sono convinto aiutato a diventare.
Ovviamente quel giorno segnò il mio non andare più a scuola per quell’anno: fortunatamente i miei voti mi aiutarono a non avere problemi nell’essere promosso. D’altronde per settimane memorizzare le cose fu impossibile, per cui non avrei certo potuto ottenere granché.
Ci fu una professoressa, quella che più di tutte ha influenzato il mio modo d’essere e di pensare, che mi chiamò tutti i giorni per sapere come stessi. Ogni singolo giorno per settimane.
E ci fui io che, istintivamente, diventai qualcun altro.
Io ero sempre stato timido ai limiti del silenzio, avevo paura di aprire bocca con chiunque non conoscessi, avevo anni di vita da secchione sfigato e preso per i fondelli sulle spalle e gli unici momenti in cui questo, in parte, cambiava erano le vacanze estive, soprattutto al mare: ma dopo quell’incidente iniziai a essere diverso anche altrove. Iniziai a essere, probabilmente, me stesso in più situazioni, a dirmi che non valeva la pena non esserlo, a ridere molto di più di ciò che mi succedeva intorno perché, diciamocelo, in quell’incidente avrei potuto rimanerci e forse, forse, forse, dare una certa priorità alle cose era utile e necessario.
Non dico di aver avuto l’illuminazione, anzi, i cambiamenti nel mio comportamento mi furono indicati esternamente prima che me ne accorgessi io e solo dopo mi resi conto di quanto fosse vero. L’anno seguente vissi la scuola meglio di quanto avessi mai fatto prima, mi misi insieme alla mia prima ragazza dopo anni di due di picche (o di cotte silenziose), iniziai a godere molto più le cose che mi circondavano.
Poi arrivarono nuove batoste, nuovi cambiamenti, nuove necessità di rinnovarsi e scoprirsi, ma una parte di me è sicura che se non fosse successo quell’incidente quel giorno, se quel tizio avesse guidato più lentamente, se io fossi riuscito a fermarmi o a non andare a fare la spesa, ecco, probabilmente non avrei liberato me stesso da certe zavorre che mi portavo dietro: magari sarebbe successo in futuro, ovviamente non posso dirlo, ma di certo quel momento liberò una parte di me, indipendentemente dal dolore, dallo spavento, dalle cicatrici.
Venticinque anni dal trauma cranico.
In sostanza ho trascorso molto più tempo scemo che savio, sarà questo il segreto? 😉