Ritorno (e aneddoti vari)
Scrivere un post dopo cinque giorni di vacanza intensa a Londra è, a dire il vero, piuttosto difficile: potrei scrivere il solito post a elenco, ma mi verrebbe a noia, così come potrei scendere nel dettaglio di tutto ciò che abbiamo fatto, ma sarebbe un diario di viaggio e non mi sono messo a scriverlo durante, figuriamoci dopo.
Quello che posso fare, perciò, è cercare di fare il punto sui momenti più particolari, emozionanti o “nuovi” di questi cinque giorni, sapendo che difficilmente riuscirò a trasmetterne davvero le emozioni, ma quelle alla fine sono nostre ed è giusto rimangano tali.
Lo scopo originale del viaggio era uno solo e poggiava le sue radici nel mese di settembre, quando ero riuscito ad acquistare i biglietti per assistere all’Hamlet messo in scena all’Almeida Theatre con protagonista Andrew Scott (il Moriarty di Sherlock, per capirci): non era la prima volta che organizzavamo (insieme o da soli) un viaggio per vedere uno spettacolo, ma in questa occasione abbiamo poi deciso che sarebbe valsa la pena prolungare e goderci qualche giorno di vacanza; lo spettacolo era sabato, noi siamo partiti venerdì mattina per tornare ieri sera, quasi cinque giorni in tutto.
Il giorno prima della partenza, poi, avevamo anche iniziato a parlare di quanto sarebbe stato bello avere l’occasione di vedere David Tennant che, giusto in questi giorni, iniziava a essere in scena con Don Juan in Soho, una versione modernamente ispirata al Don Giovanni di Moliere, scritta e diretta da Patrick Marber: sarebbe stato bello, sì, ma sembrava che i (pochi) biglietti rimasti fossero disponibili a più di 100 Sterline l’uno, un prezzo che era purtroppo fuori budget.
Non sapevamo che le cose sarebbero cambiate.
Il venerdì, iniziato tranquillo, con il sottoscritto atterrato un’ora prima a bere un Mocha da Costa mentre attende Miss Sauron, in una scena che fa molto Love Actually, prosegue con giri fondamentali da Forbidden, Hatchard’s, Foyles, Charles Tyrwhitt (e accidenti alla mia neonata passione per le scarpe inglese, diciamolo), finché non ci troviamo a passare al di fuori del Wyndham Theatre: il tempo di un’occhiata e siamo dentro a chiedere se ci siano biglietti disponibili e, contestualmente, a comprare quei due miracolosi posti comparsi sullo schermo a un prezzo non basso, ma di sicuro accettabile. Fatta, lunedì ci aspetta David Tennant, non ci sembra vero.
E così tra un giro alla National Portrait Gallery (con qualche discordanza sui percorsi da seguire) e qualche acquisto da HMV (Battlestar Galatica in Blu-Ray a 30 sterline non poteva rimanere lì) arriva sabato sera. La casa degli amici che ci ospitano (sempre siano benedetti) è a 10 minuti a piedi dall’Almeida, quindi una breve camminata ed eccoci lì, a godere di un teatro intimo, posti splendidi e uno dei migliori Hamlet a cui ci sia mai capitato di assistere.
Finite le 3 ore e 45 minuti di spettacolo (eggià…) stiamo per tornare a casa quando, toh, scopriamo che è già pronta l’area di attesa per chi vuole un autografo nel backstage: come rifiutare un’offerta così gentile? Non si può, infatti, e non lo facciamo. In coda dietro a tre ragazze e davanti a un’altra che, poco dopo, diventa nostra compagna d’avventura: italiana come noi, appassionata come noi, col biglietto per il Don Juan di lunedì come noi, sembra fatto apposta.
L’attesa è lunga, con i buttafuori che ci avvisano che ci sarà da aspettare perché Scott ha degli amici che sono andati a trovarlo. Pensiamo che potrebbero pure andarlo a trovare a casa, ma non molliamo. Siamo lì e, ogni tanto, Miss Sauron butta l’occhio dentro. “È al tavolino che sta bevendo”/”Ha messo lo zainetto per terra”/”No, ora l’ha spostato”, finché a un certo punto ci guarda un po’ confusa. “C’è Cumberbatch” “Come c’è Cumberbatch” “È lì dentro, è andato a trovare Andrew Scott, lo vedo.”
Già per chiunque segua un po’ di televisione e film questa sarebbe una notiziona, per lei che l’ha perso in tre occasioni diverse è un momento topico. Da segnalare il buttafuori che si accorge che lei ha visto e le fa cenno di non dire nulla per non scatenare l’inferno.
Cumberbatch esce (ciao, Ben, è stato un piacere) e noi aspettiamo finché Andrew finalmente compare e… è un tesoro! Si scusa del ritardo, fa foto con tutti, autografa, ride, scherza.
L’entusiasmo è enorme e torniamo a casa ridendo come due scemi (e dandoci appuntamento a lunedì con la nostra ormai compagna di backstage).
La domenica ci si riposa?
Nah, la domenica si passeggia per Bricklane, si girovaga per mercatini di antiquariato e modernariato, si incontra Sara di Pomodoro e Basilico (che se siete vegani, vegetariani o volete sperimentare non potete perdere, fidatevi di un buongustaio), si pranza in compagnia, si comprano tavolini (no, non noi, i nostri amici in questo caso), si passeggia da Bricklane fino a St. Paul e si chiude con una pizza. Giusto per rilassarsi, insomma.
E il lunedì? Il lunedì si gira per musei (Victoria & Albert, stavolta, che definire labirintico sarebbe dir poco), si mangia Libanese, si passeggia e, giusto, si va al Wyndham Teatre per vedere Tennant. In questi casi, poi, può anche capitare che mentre si è sulle scale ci si volti e si noti che poche decine di gradini sotto di noi c’è Mark Gatiss (Mycroft in Sherlock, nonché grandissimo sceneggiatore e attore) che assisterà allo spettacolo. Ci diciamo che mancherebbe solo Martin Freeman e in tre giorni avremmo recuperato l’intero cast di Sherlock.
Posti ottimi, spettacolo esilarante, con un David Tennant strepitoso e la sua spalla Adrian Scarborough quasi a rubargli la scena.
Splendido.
La volontà di fermarsi nel backstage c’è anche questa volta, ma la consapevolezza di quanto possa essere difficile ottenere qualcosa è forte: andiamo, ok, ma senza illuderci.
Scendiamo velocemente, c’è già gente in coda, ma la nostra compagna d’avventura si è già posizionata e ci aspetta.
Di nuovo ci viene detto che ci sarà da aspettare (e di nuovo siamo colpiti dalla gentilezza dei buttafuori e dall’educazione del pubblico inglese).
Aspettiamo.
Escono gli altri attori, qualcuno va via sapendo che non gli verrà (tristemente) chiesto l’autografo, Scarborough si ferma, firma e saluta.
Aspettiamo ancora, ogni tanto arriva qualche aggiornamento.
Ma aspettiamo.
E all’improvviso anche Tennant compare.
Ride, saluta ed è una macchina da guerra, comincia a firmare, fare foto coi fan, muoversi velocemente: io scatto foto a raffica convinto che sarà difficilissimo riuscire a farla insieme, ma poi arriva da noi.
Firma il programma di Miss Sauron, firma il mio biglietto, fa un selfie con Miss Sauron (facendo un’espressione assurda vedendone la custodia a forma di Totoro) e, quando gli chiedo di farne uno insieme, prende il mio cellulare e scatta direttamente la foto per fare prima.
Sono l’ultimo, poi torna dentro dai suoi ospiti.
Noi, inutile dirlo, esaltati come pochi: uno dei più grandi attori inglesi (due, considerando Andrew Scott), uno dei Dottori più famosi, il protagonista di Broadchurch e siamo riusciti ad ottenere autografo e foto.
Non ci sembra vero.
Non lo sembra tuttora.
Torniamo a casa entusiasti, emozionati e felici.
Martedì.
Ultimo giorno, io col volo alle 18.30, Miss Sauron alle 20.20, voli separati, uno direzione Milano e l’altro Bologna, per avere più tempo a Londra. C’è tempo per girare, c’è tempo per una splendida mostra sulla pittura americana del dopo-depressione, per vedere dal vivo quadri famosi come American Gothic e The Daughters of the Revolution di Grant Wood, ma anche per scoprirne di splendidi e, in certi casi, disturbanti come American Justice di Joe Jones.
Ma poi finisce, ci si piazza sulla Piccadilly, si arriva a Heathrow, ci si saluta col magone e si torna a casa.
E se è bello rivedere Stitch, se è emozionante ripensare ai giorni passati, la mente già punta al prossimo viaggio, ai prossimi sogni, alle prossime sorprese, perché non c’è modo migliore di gustare tutto a piene mani.
Nel frattempo rimangono ricordi, immagini, foto, un selfie con lo sfondo del Tamigi e Tower Bridge. Cose così.