Fuori casa

In quanti alberghi ho dormito, nella mia vita?
In più di molte persone, immagino, molti meno rispetto ad altre, senza dubbio.

Alberghi visti per una notte poi mai più, alberghi in cui ho trascorso settimane per anni di fila, alberghi in cui ti sembra di essere coccolato, altri da cui non vedi l’ora di andare via.

Scrivo queste parole da un letto in un albergo in cui, ormai, sono stato due o tre volte e mi trovo a pensare a quanti ne ho frequentati e a rendermi conto che probabilmente alcuni li ho dimenticati o quasi.

Ce n’era uno nell’entroterra ligure in cui sono certo di aver dormito, ma di cui non ho praticamente alcun ricordo: eppure ricordo benissimo che, quello stesso giorno, sono rimasto bloccato nell’ascensore di un parcheggio e chi doveva farci uscire disse chiaramente “com’è che si faceva?”.

Ricordo vagamente l’albergo al Porto Antico di Genova. Vagamente perché della stanza non ho memoria, ma dell’enorme tavolo della colazione sì, eccome. C’era anche la focaccia. D’altronde, a Genova…

E quello dove dormii praticamente per cinque settimane a Pordenone? Una villa papale trasformata in albergo. Bello, eh? Ma dopo cinque settimana non ne potevo più.

O i vari alberghetti su un piano che per un periodo frequentai a Roma. Fu lì che scoprii che in un palazzo potevano esserci più alberghi. Ingenuo io che non ci avevo mai pensato; uno di questi aveva i sanitari talmente vicini che non c’era verso, per me, di utilizzare il bidet senza amputarmi le gambe.

O ancora quello in Provenza con la stanza che aveva il terrazzino… aperto verso la strada, o quello a Trieste con vista tangenziale (ma, per correttezza, c’era anche quello con la stanza grande quanto casa mia).

Quello a Londra in cui due valige, in piedi, non stavano in stanza e quell’altro con la stanza grande ma col letto matrimoniale che, da un lato, era appoggiato al muro, per cui io dovevo letteralmenta arrampicarmi dai piedi. 

C’è stato l’albergo di Parigi di cui ricordo solo che la stanza era piccola e ma faceva male il ginocchio, quello di Bruxelles in cui mi resi conto che alle 22 c’era ancora il crepuscolo, quello in Camargue col proprietario australiano pazzo ma adorabile.

C’è la Locanda del cuore a San Ginese, ma anche l’albergo con le formiche che si infilavano dietro il frigorifero, poco distante dal Ponte del Diavolo.

L’albergo di Quarrata dove ho dormito tante volte per un paio di mesi e quello a Poggio dove dormii solo una volta e poi, anni dopo, altre due: ricordo che il primo aveva una bella dependence, ma l’acqua della doccia non scaricava benissimo e quasi mi allagò la stanza. Penso che fu la stessa volta che cenai con gli stuzzichini del frigobar perché non avevamo voglia di uscire dalla stanza. O forse fu una simile.

E poi quello che sembrava estratto da un libro di Agatha Christie a Viareggio e quello a New York con la lavanderia a gettoni.

Cesenatico, Rethymno, Rodi, Jandia a Fuerteventura, Lanzarote. Stanze che si mischiano, panorami che si sovrappongono, immagin sfumate che diventano pennellature.

Ricordo le connessioni fatte col modem a 56k, collegandolo al telefono della stanza e lo confronto alla wifi che sto usando per questo messaggio.

Fu in quella stessa stanza, sempre a Pordenone, che scrissi quel testo che aprì la porta a qualunque cosa abbia scritto da allora: senza quel pezzo non esisterebbero il blog, i racconti, il romanzo. Niente.

E nacque in una stanza d’albergo.

Tanti ne ho citati e sono sicuro che appena pubblicherò il post me ne verranno in mente molti altri, anche solo come situazione, senza dettagli, senza ricordi definiti.

Eppure ognuno di loro ha accolto una piccola parte della mia vita, ne è stato sfondo, ambientazione, supporto. Che siano state trasferte di lavoro, viaggi di piacere, da solo, in coppia, con gli amici. Che si sia trattato di momenti felici, di periodi bui, di speranze, di certezze, di passione, di dolcezza, di solitudine, di disperazione.

Sfondi di vita, tanto importanti sul momento eppure che finiscono per sbiadire nel ricordo del cosa piuttosto che del dove.

Eppure sono qui, stasera, in un albergo, a scrivere di alberghi.

Perché? Non saprei. Ma si sa che questo, di solito, non mi ferma dallo sproloquiare.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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