Del mangiare fuori
Ormai quasi tre anni fa fummo invitati a un compleanno; il luogo prescelto? Un posto in cui si mangiava quasi esclusivamente carne. Io e Miss Sauron, lo sapete, siamo vegetariani e ovviamente chi ci ha invitati lo sapeva benissimo.
La serata trascorse con gente che si scofanava grigliate di carne e noi che ci mangiammo un piatto di pasta e tanto pane. Importante: a noi non frega nulla se la gente accanto a noi mangia carne, ci basta poter mangiare come si deve a nostra volta.
A fine pasto si divise l’importo in parti uguali, con la persona che aveva organizzato la cena che solo dopo che tutti eravamo usciti ebbe la simpaticissima uscita “uh, ma voi avete mangiato poco, quanto mi spiace, avremmo dovuto dividere diversamente”.
Avremmo dovuto, ma intanto cazzi vostri.
Ora, discorso economico a parte (ma fino a un certo punto), sarebbe carino chiarire una cosa: chi organizza una cena, un pranzo o una qualunque situazione in cui sia prevista la fornitura di cibo si assuma una responsabilità, quella di assicurarsi che tutte le persone che interveranno siano in grado di godere della serata in modo simile se non identico.
Facciamo altri tre esempi.
Ad agosto dell’anno scorso due cari amici si sono sposati a Londra. Il catering del pranzo previde portate per onnivori, portate per vegetariani, portate per vegani e, se non ricordo male, portate per celiaci. Io e Miss Sauron rimanemmo a bocca aperta per l’attenzione che avevano mostrato verso tutti gli invitati. Fu un pasto delizioso e una coccola splendida.
L’anno scorso, in questo periodo, fui invitato alla cena aziendale di un cliente. Era la prima volta che vivevo con loro questo tipo di invito e, ovviamente, specificai di essere vegetariano. Il ristorante scelto si prese cura di preparare sia piatti uguali per tutti che non contenessero carne, sia alternative a quelli non adatti a me per evitare che passassero portate senza che anch’io fossi servito: ricordo una melanzana alla parmigiana che fece gola anche a tutti i carnivori seduti accanto a me. Di nuovo, l’attenzione fece sì che io mi godessi la serata tanto quanto gli altri.
Ultimo esempio. Qualche anno fa un nostro amico invitò me e un altro paio di persone a cena a casa sua. Una delle mie più care amiche, invitata anche lei, è celiaca. L’amico ebbe l’accortezza di informarsi con attenzione su tutti i problemi di contaminazione e si organizzò per essere sicuro che la nostra amica potesse godersi appieno la serata. E così fu.
Ecco, immagino che lo scenario sia chiaro. Invitare a cena non è obbligatorio, ma se lo fate dovete sapere cosa comporta. Non basta sapere che ci sono persone che hanno un’alimentazione o necessità specifici (siano essi la scelta vegetariana o vegana, intolleranze, allergia o celiachia, per dire) e pensare che in qualche modo si farà, perché in qualche modo si farà significa che la persona o le persone in questione potrebbero fare la nostra fine del primo racconto o peggio e, vi assicuro, non è piacevole.
Una cena, un pranzo, un ritrovo in cui si mangia insieme è un qualcosa di conviviale che unisce per il piacere delle persone e per la condivisione del pasto: se una sola persona non si trova bene, quella momento di convivialità è perduto e la persona al meglio non trascorrerà una gran serata, al peggio se la sarà letteralmente rovinata. Non siete in grado di gestire la cosa? Semplice, non invitate. Nessuno vi obbliga. Nessuno. E vi assicuro che chiunque abbia esigenze alimentari, piuttosto che unirsi in una serata in cui dovrà mangiare pasta in bianco mentre gli altri si sfondano di aragosta o grigliate, preferirà declinare o arrivare dopo cena; e se verrà comunque, beh, sarà perché ha davvero voglia di vedervi: sarebbe carino da parte vostra premiarlo, almeno per il futuro.