Giudizi severi
Qualche giorno fa scrivevo altrove che ci sono pochi, pochissimi momenti in cui mi fermo e mi verrebbe voglia di darmi una pacca sulla spalla da solo.
Sono quegli istanti in cui mi rendo conto che, nel mio piccolo, con le sole mie forze, sono riuscito a ottenere risultati enormi.
In quel caso mi riferivo strettamente al lavoro, a un progetto enorme sviluppato praticamente solo da me a partire da zero e che ora è diventato reale e (si spera) funzionante; la cosa particolare è che pochi potrebbero capire quanto complesso sia stato, se non addetti ai lavori: altri tendenzialmente possono annuire con condiscendenza, ma non comprenderanno la portata (e non sono tenuti a farlo, sia chiaro).
Dicevo che in quel caso si parlava di lavoro.
A volte riguarda la scrittura.
Ci sono rari momenti in cui mi rileggo e qualche mi viene da dire “sì, se non l’avessi scritto diresti che è scritto proprio bene”, che è il complimento più grande che sono in grado di farmi: non succede spesso, anzi, non succede quasi mai; qualche volta però sì.
Le altre volte sono più i complimenti che ricevo che quelli che mi faccio. Sul lavoro, sul blog, a volte addirittura su chi sono.
Ma io non mi basto.
Voglio e vorrei sempre fare di più.
Sul lavoro, dove vorrei creare cose sempre più importanti, funzionali e, letteralmente, belle.
Con la scrittura: odio il ritardo del romanzo, odio il fare fatica a scrivere, odio il non averlo ancora terminato e il non sapere quando avverrà e se ne sarò soddisfatto.
Con quello che sono e la sensazione di non fare mai abbastanza, di essere in rincorsa, di risolvere più che creare, di mettere toppe invece di tessere.
Eppure non so fare diversamente.
Mi piace vedere i risultati, ovvio, mi piace sapere che il mio lavoro è apprezzato, che ciò che scrivo piace, che ciò che sono arriva, ma dentro di me non basta.
Non ancora.
Forse non basterà mai.
Ecco perché ci sono volte in cui un complimento mi emoziona tanto: perché mi fa vedere con gli occhi altrui che, a volte, sono molto meno severi dei miei. Ed ecco perché, quando in certi momenti mi do quella pacca da solo, per me è un istante emozionante: sto ricevendo un riconoscimento da uno dei giudici più severi che conosca.
Me stesso.