Routine

Come sa chi mi legge da tanto (anche se pochissimi possono dire, ormai, di leggermi dall’inizio) per me il cambiamento è uno degli aspetti fondamentali della vita: il bisogno di evolvere, di cercare nuovi stimoli e sfide mi accompagna da sempre ed è una di quelle cose, ironicamente, che non cambierei in me (ci si potrebbe costruire un paradosso da manuale, a dirla tutta, ma non divaghiamo).

In questa mia voglia di evoluzione ci sono due eccezioni.
La prima è rappresentata dai cambiamenti tragici, dall’adattamento a cause esterne che ci stravolgono la vita e non si sa bene cosa lasciano una volta passate: mi rendo conto che siano indispensabili e parte integrante della nostra crescita, ma è anche vero che ci sono periodi o intere vite che ne sono talmente carichi da autorizzare ad averne piene le palle.
Io in primis, pur essendo sicuramente molto più fortunato di tanti, mi sento legittimato a sperare che non ne arrivino più per un lungo periodo, considerando anche che l’ultima è ancora in fase di risoluzione.

La seconda sono quelle piccole abitudini che allietano la vita e, insieme a loro, le piccole o grandi tradizioni.
Devo ammettere di non averne mai avute tante: non sono mai stato tipo da scendere ogni giorno a far colazione, o da andare tutte le settimane da qualche parte o cose del genere, ma qualcuna l’ho avuta, negli anni.
Mi vengono in mente le telefonate serali con mio padre quando uscivo dal cliente, quelle con qualche amico o amica a cadenza quasi giornaliera, magari mentre guidavo nel traffico, alcune cene periodiche o in date prefissate, cose del genere.

Le stesse cene di compleanno mi piacciono soprattutto per la celebrazione di un momento nel tempo.

Ma anche loro finiscono.

Di solito non per decisione e non all’improvviso, ma per una sorta di inerzia.

Capita il giorno che non si prende il telefono in mano perché si è stanchi o presi.
E il giorno dopo succede qualcos’altro.
E quello dopo ancora ci si accorge che in quel momento si può fare un’altra cosa che per un istante sembra più importante.

Ecco, l’abitudine svanisce. Diventa, se va bene, un qualcosa di piacevole da fare se capita, ma non è già più una routine radicata.

E così, di nuovo, si salta un appuntamento o una cena o una ricorrenza e, all’improvviso, non sono più abitudini.

La regolarità, per quanto banale, ne definisce l’esistenza e bastano una o due volte per spezzare la magia.

Così qualcosa che in qualche modo costellava la nostra vita diventa un’estraneità.

Persone che si sentivano tutti i giorni si allontanano.

A volte l’inerzia opposta fa sì che neanche si parlino più, ma questo è un altro discorso.

Quello che resta impresso è che, senza accorgersene, quella routine sia finita.

Potremmo ripeterlo ancora per le tradizioni, che vivono del loro stesso essere rispettate.

Un giorno saltano, a volte per cause interne, altre esterne. A volte per motivi futili, altre per gli stravolgimenti del primo tipo.

Penso alle mie tradizioni natalizie, ad esempio. Stravolte prima dalla morte di mia madre, poi, dopo essersene formate di nuove in un paio di anni di assestamento, di nuovo scosse da quella di mio padre. E poi, quelle create dopo, cambiate di nuovo dalla vita. E avanti in questo modo.

Ma senza considerare esempi così drastici, saltare una tradizione porta quasi in automatico a far sì che l’eccezione diventi la nuova regola fino all’instaurarsi (o meno) di qualcos’altro ancora.

E sì, amo il cambiamento e una routine o una tradizione spesso liberano posto per ciò che verrà, ma diciamocelo: qualche volta è davvero un peccato. Non sempre, non per tutto, ma lo è. 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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