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Vent’anni.
Letteralmente una vita.
Volendo ben più di una, se mi guardo indietro.
Quello che ero vent’anni fa si è perso nei meandri di ciò che sono diventato, che ho distrutto, costruito, distrutto di nuovo e così via.
Dico sempre che se oggi incontrassi il me stesso di allora o anche prima, probabilmente ci staremmo sulle palle a vicenda.

Vent’anni e tu non hai avuto modo di sapere chi e cosa sono diventato.
Probabilmente, lo dico sempre e fa sempre male dirlo, non sarei quello che sono ora, ma tant’è.
Altrettanto probabilmente ci saremmo scornati tante di quelle volte che chissà se ci rivolgeremmo la parola.

Non lo so.
So che non è stato possibile scoprirlo.
So che il ricordo di quella notte, quella che stanotte sarà passata da vent’anni, è sempre lì, non sbiadisce, ma per certi versi sembra successo a qualcun altro, perché io non sono più quello: solo il risultato di quel seme, ma quel seme è morto, forse quella notte stessa, con te.
Non è più dolore, non dopo vent’anni.
È vuoto, è mancanza, è chiedersi come sarebbe stato.

È, se vogliamo, ricordo di un dolore, ecco. E il ricordo di un dolore è a sua volta dolore, sì, ma in modo diverso.

Eppure ricordo tutto.
Ricordo la mattina che ti venni a trovare in ospedale e che tu a malapena mi riconoscesti.
Ricordo la sera qui a casa con papà.
Ricordo la telefonata notturna.
Ricordo il suo dirmi di non andare con lui.
Ricordo cosa stavo leggendo sul divano, mentre aspettavo (e che quel libro impiegai un bel po’, dopo, a finirlo).
Ricordo com’era arredata questa stanza, talmente diversa da com’è oggi che non la riconosceresti, anche se, è strano a dirsi, in questo momento sono seduto quasi nello stesso punto dov’ero quella notte.

Quando papà rientro e disse solo “non doveva succedere”.
Quando presi a pugni uno stipite.
Quando ti raggiunsi in ospedale e piansi dicendoti di dir loro che non era vero.
Quando presi e andai con Fedora, alle tre di notte, fino in campagna a cercare il vestito che già avevi detto avresti voluto. Non era necessario, non in quel momento, ma dovevo fare qualcosa.
Quando carezzai Funi, che era lì, prima di tornare di nuovo a Milano.

Quando tutto ciò che ero finì, ma ancora non lo sapevo.

Sono vent’anni.

Fanno sempre impressione i numeri tondi.

Vent’anni.

Eppure ricordo ancora la tua voce.

Lontana, ma la ricordo.

Vent’anni.

io-e-mamma

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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