Social?

Per quanto io non abbia mai stigmatizzato i social, mi rendo conto di scrivere molto meno su quelli che frequento. Qualcosa su Facebook, ancora meno su Twitter, più facilmente qualche foto su Instagram e qualche storia (quelle temporanee) lì o su Snapchat.

Su Twitter e Facebook, in particolare, mi rendo conto di ricondividere qualcosa che mi capita sott’occhio ma di generare molti meno post “miei” rispetto a una volta: stiamo parlando di un rapporto di 1 a 50 se non a 100, per capirci.

Ovviamente quando le mie abitudini cambiano in questo modo tendo a chiedermene il motivo, dato che non mi basta il semplice “non ho più voglia”, e forse una prima deduzione l’ho raggiunta: limitata, opinabile, ma non per questo meno reale.

Quello che è cambiato, secondo me, è il modo maggiormente diffuso di vivere questi strumenti. Qualche anno fa ero un grande fautore di Twitter, della sua velocità di informazione, del suo permettere di incrociare nuove persone, di avere scambi interessanti sebbene costretti nel limite dei 140 caratteri. Ma oggi le cose sono diverse: gli scambi interessanti sono ridotti al minimo, rispondere a un tweet spesso genera, se va bene, un retwitt o un like, ma molto meno di prima una conversazione. E se gli scambi nascono lo fanno per diventare flame.
Il fatto è che statisticamente se prima erano molti di più quelli che lo usavano per interagire, ora la maggioranza è quella di chi lo usa per visibilità, per una sorta di inutile pseudo-fama che inizia e finisce nei confini di quella piattaforma.

I famosi cinque minuti di celebrità di Warhol concentrati su piattaforme virtuali, quintessenza della futilità, se fini a loro stesi.

E se si è concentrati a cercare di apparire, gli scambi di opinioni finiscono per essere inutili o dannosi. Contano i numeri, conta la quantità di follower, contano i retwitt.

C’è gente che scrive tweet e, se non li vede abbastanza accolti, li cancella.

C’è gente che ha scambi ma poi li cancella per non mostrare le interazioni.

Eccezioni? Estremi? Forse, ma sono sempre più frequenti e rendono il mezzo molto meno piacevole di prima.

Così come in snapchat, dove accanto a piacevoli immagini o brevi filmati ci sono persone che si scatenano in soliloqui di minuti o decine di minuti credendoci talmente tanto da farti chiedere perché non trovino piattaforme più consone.

E, “stranamente”, con molte di loro (non tutte, sia chiaro) l’interazione è praticamente nulla.

Di nuovo, niente scambio, solo un occhio di bue concentrato su ognuno, separatamente.

O ancora quella stranezza che si chiama curiouscat e che non è altro che mettersi al centro dell’attenzione permettendo agli altri di sfogare curiosità su di noi; di nuovo, non scambio, non conversazione, ma un palco da cui parlare, magari rispondendo a una domanda.
“Dai, non parliamo sempre di me, parliamo di te. Cosa pensi di me?”

Ecco, qualcosa del genere.

I social trasformati in personal, in sostanza.

E io, così, non mi diverto proprio più.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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