11 e più anni dopo

Ci sono luoghi che fanno parte della tua vita per un lungo periodo, che conosci come le tue tasche, che potresti descrivere a occhi chiusi; sono centri di gravitazione attorno ai quali si ruota, durante l’anno, per periodi più o meno lunghi, ma che comunque hanno un ruolo fondamentale.

Poi, negli anni, questi luoghi cambiano: la vita porta altrove, nella maggior parte dei casi, o la propria evoluzione personale fa sì che non possano essere più così centrali, ma in qualche modo rimarranno importanti, fosse anche solo come memorie.

Per me uno di questi luoghi è indiscutibilmente Cesenatico.

Ci misi piede per la prima volta alla fine della prima media, in vacanza con mia madre e, da allora, fu IL luogo di vacanza per, senza esagerare, più di un decennio.

Difficile elencare i tanti ricordi che ho in quei posti, non tanto (anche se qualcuno sì) della fase da bambino, quanto dall’inizio dell’adolescenza in poi.

Cotte, amicizie, serate in spiaggia, gavettoni, beach volley, gioco del postino (non chiedete), occasioni perse per colpa della timidezza, albe, balli sui tavoli, bomboloni e piadine alle 3 di notte, passeggiate, chiacchierate, bici noleggiate, fotografie, indirizzi scambiati, lacrime, risate.

L’ultima volta ci ero stato per un week-end undici anni fa, senza neanche andare in spiaggia, un week-end che comunque fu importantissimo (di nuovo) per la mia vita a seguire: da allora non era più capitato, fino a oggi.

Già da qualche settimana Miss Sauron, conoscendo il mio amore per il mare e il mio legame con Cesenatico, aveva deciso che ci avremmo trascorso almeno una giornata e così è stato: un paio di borse con lo stretto necessario e via sulla A14.

Percorrere quella strada, uscire a Cesena, attraversare Villa Calabra e gli altri paesini fino a raggiungere l’Adriatica e rendersi conto di quanto le immagini impresse nella mente fossero sovrapponibili con la realtà attuale è stato un assaggio di quello che avrei sperimentato durante tutto il giorno.

Mettere piede al Porto Canale, col museo marittimo, con i ristoranti di pesce e i negozi alternati di abbigliamento, tessuti e chincaglierie, respirare la stessa aria della mia adolescenza e riconoscerla.

Sentirsi a casa.

Camminare lasciando che fosse la memoria a guidare, una memoria che può scordare cos’ho mangiato ieri, ma che sa esattamente dove si trova ogni luogo lasciato alle spalle anni fa.

Le barche, le piadinerie, gli alberi, Viale Carducci.

Trovare insegne identiche a quelle che c’erano, emozionarsi scoprendo negozi ancora aperti, sentire un piccolo dolore vedendo che la mia libreria preferita dei tempi è diventata una gelateria, ammirare il parco che, l’ultima volta, era ancora in costruzione, passare davanti all’unico albergo che mi ha visto ospite nei tanti anni e guardare dalla strada il balcone di quella che fu a lungo la mia stanza.

E così camminare oggi è diventato camminare allora, ripercorrere quei marciapiedi con mia madre al braccio, o mano nella mano con Erika, l’amica-che-avrebbe-potuto-diventare-ragazza-ma-ero-troppo-pirla, rivedere la fontana dove con gli amici gavettonammo le ragazze del gruppo, la sala giochi dove il me stesso bambino dilapidava gettoni nei giochi di star wars.

E le bancarelle coi libri usati impacchettati nei modi più improbabili, il “pizza a pezzi” che mi attirava da piccolo, la piazza sotto il grattacielo, quel grattacielo che era punto di arrivo delle passeggiate con mia madre e giusto una tappa dei giri da solo o con gli amici.

A un certo punto mi è venuto da pensare che Milano sia cambiata molto più di Cesenatico e che se mio padre oggi fosse vivo riconoscerebbe meglio la seconda della prima.

Passato e presente uniti, sovrapposti, a darsi il turno, a mostrare che certe cose sono rimaste dov’erano e altre possono tornare vive come nulla fosse.

E poi, il pomeriggio, in spiaggia.

Sì, il mare è quello che è, ma rimane il mare dove sono cresciuto. Conosco ancora i punti dove il fondale scende e sale, ho nel corpo la memoria dei mille bagni fatti, la dinamica delle onde, la direzione delle minime correnti.

Uno stabilimento diverso da quello in cui andavo, ma poco male. 

Ombrelloni radi.

Il cellulare quasi sempre in borsa.

Leggere, godere il vento, godere il bagno.

Stare bene.

In pace.

Appagato.

Sorridere.

E ancora, prima di tornare a casa, raggiungere quel punto dove arrivavo a camminare quando pioveva ed ero triste e sognavo di conquistare la ragazza del momento, con tanto di walkman nelle orecchie e canzoni sdolcinate, ma anche dove si andava con gli amici o dove andavo a guardare il mare senza nessun ostacolo tra me e lui.

E trovarlo lì, sempre uguale a se stesso, come non fossero passati undici anni, come non fossero passati neanche undici minuti.

Fotografarlo per ricordarlo ancora, come fosse necessario.

E promettergli che non ne farai passare altri undici.

Fosse anche solo per un giorno.

Così da poter sorridere voltandogli le spalle, che gli arrivederci, si sa, hanno sapore ben diverso dagli addii.

 

 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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2 risposte

  1. ziacris1 ha detto:

    Cesenatico, un mito. Per noi adolescenti di Cervia era il sogno delle sale da ballo da sballo.
    Tu Cesenatico, io Cervia come luogo del cuore e dell’ anima, praticamente tutti gli anni, per periodi più o meno lunghi, da quasi 48 anni a questa parte. Ci ho passato la pre-adolescenza, l’ adolescenza, il post adolescenza, la vita da sposata e quella da nonna, e altri anni ancora ho intenzione di andare a Cervia

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