360. Come stai?
È una delle domande a cui è veramente più difficile rispondere ora.
Da un lato c’è la paura che anche quest’ennesimo tentativo in banca non vada in porto per l’ennesimo cavillo: ogni tentativo è una riduzione del precedente, è un rinunciare a qualcosa, sia esso qualcosa di mio o, semplicemente ma non tanto banalmente, affrontare serenamente il futuro, per cui ogni tentativo che viene rifiutato è un dover capire a cosa potresti rinunciare.
Non è bello vivere così.
Dall’altra parte c’è, ancora, sempre, il calore che sto scoprendo da tante persone e questo, in questo momento, era un qualcosa di cui avevo bisogno.
Avevo bisogno di non sentirmi solo e, posso assicurarlo, in certi momenti è difficile non sentircisi, anche se si hanno accanto persone che ci mano: è difficile da spiegare, ma penso che chi passa attraverso certi momenti possa capire. Gli altri si fidino.
In tutto questo c’è una stanchezza ormai fisica che le preoccupazioni e il dolore degli ultimi mesi hanno coltivato alla perfezione.
Scrivevo qualche tempo fa che questo è stato uno dei periodi più brutti della mia vita.
Si potrebbe pensare che esageri.
D’altronde ho perso mia madre a 22 anni, sono stato accanto a mio padre in punto di morte, ho dovuto reagire a scoperte che li riguardavano, sono rimasto in sedia a rotelle per mesi rompendomi due volte il tendine rotuleo, di materiale tra cui scegliere ne ho parecchio, insomma.
Perché ora?
Perché assieme alle energie di mesi a curare Zen, insieme al dolore lancinante per la sua morte, mi sono trovato a dover gestire la paura: la paura dell’ignoto, di ciò che non posso controllare, del poter perdere ciò a cui tengo.
E non stiamo parlando di paure potenziali, sfumate, indefinite.
Stiamo parlando di un qualcosa che arriva e che può essere solo tamponato, sempre che vada bene.
Ecco, paura e dolore sono molto diversi. Il dolore c’è, arriva, ti divora, ma è lui. Non c’è altro. Può durare tantissimo, distruggere l’anima, ma è lui e rimane lui. Lo si conosce. Lo si impara a gestire. La paura no. Lei minaccia, ride, rimane in agguato, si gonfia, si fa intraprendente, improvvisa. Il dolore è sordo, la paura è un coltello che graffia la pelle in modo irregolare ma sfiancante, per poi trafiggere un po’ di più quando le gira.
Sono abituato al dolore. Fa male. Distrugge. Ma l’ho sempre gestito.
La paura è un’altra cosa. È debilitante, ride delle rassicurazioni, si ramifica, cresce sulle sue ceneri. Fino a quando si realizza o viene distrutta da una speranza che diventa realtà.
Ma non essere soli aiuta.
Almeno un po’.
Almeno per un po’.
PS: e stasera ringrazio per non avermi lasciato solo Letizia, Orietta, Tania e una persona rimasta anonima. Grazie.