277. Il gioco preferito

Di solito si vorrebbe sempre parlare bene degli autori che ci piacciono o addirittura amiamo e, proprio per questo, l'occhio può tendere a essere più benevolo rispetto ad altri che ci sono sconosciuti.

Leonard Cohen è, per quanto mi riguarda, un grandissimo artista con una capacità unica di esprimere immagini ed emozioni in musica; ammetto, però, che fino a pochi anni fa ignoravo totalmente il fatto che prima di comporre e cantare avesse intrapreso (o tentato) la strada della scrittura, attraverso due romanzi e parecchi libri di poesie.

Ho fatto la “scoperta” leggendone la biografia qualche anno fa e da allora mi era rimasta in mente l'idea di procurarmi i romanzi e dar loro una possibilità.

Qualcosa, però, mi frenava (disponibilità a parte): dalla biografia, mi risultava piuttosto evidente che il Cohen “giovane”, quello che ancora non aveva iniziato a suonare e che puntava a una carriera esclusivamente scritta, fosse stato un personaggio che difficilmente avrei trovato affine; una di quelle persone molto centrate su loro stesse, sulla propria arte (più o meno presente) sui propri desideri e capricci.

Una persona, insomma, che non mi sarebbe affatto piaciuto conoscere.

I suoi romanzi, venni a sapere, erano comunque in buona parte autobiografici e la somma dei due aspetti non mi spronava più di tanto.

Alla fine, però, la curiosità ha avuto la meglio e ho provato a leggere “il gioco perfetto”, prima delle sue due opere di prosa.

Che dire?

Avevo ragione.

Il romanzo vorrebbe raccontare parte della crescita del protagonista, evidente alter ego dell'autore, tramite capitoli molti brevi scritti a mo' di flusso di coscienza: non si sa mai quando si svolgono le cose, non si sa cosa succede di preciso, non si sa quanto hanno i protagonisti mentre succede, non si sa cosa accade prima e cosa accade dopo.

Non solo, il flusso di coscienza è una tecnica veramente pericolosa, perché deve permettere al lettore di inserirvisi all'interno e in qualche modo lasciarsi trasportare: basta poco, una mancanza di affinità, qualche divagazione di troppo, una sfumatura sbagliata, per scacciare il lettore dal flusso e lasciarlo a riva a guardare scorrere questa massa di parole senza poterle intaccare.

La sensazione che ho provato io con questo romanzo è stata spesso questa.

Raramente mi è capitato un libro in cui riuscissi a empatizzare tanto poco coi personaggi, protagonista in primis, a cui mi verrebbe voglia di dare qualche scarpata quasi da subito e fino alla fine: un personaggio irritante, presuntuoso, egoista e spesso tendenzialmente misogino o maschilista, che finisce per avvicinarsi alle persone esclusivamente a proprio uso e consumo.

Anche una scena che, in altri contesti, mi avrebbe commosso e fatto provare dolore, mi ha lasciato completamente indifferente per il modo in cui è stata presentata e gestita.

Rappresentativa, comunque, del tipo di peronsaggio è una scena verso la fine del romanzo (non è classificabile come spoiler, non è possibile fare spoiler per un libro come questo).

Lui chiama una donna di cui dice di essere innamorato, le chiede di sposarlo, ma anche di aspettarlo perché la raggiungerà subito a New York.

Lei, che ormai lo conosce, gli risponde “sei sicuro di venire? Perché io non ho alcuna voglia di aspettarti più se non sei certo di venire”.

Lui la riassicura.

Lei accetta e gli dà la buonanotte, poi mette giù.

Un istante dopo lui decide che nella telefonata “aveva esaurito le emozioni che lo avevano spinto a chiamarla. Non aveva bisogno di andare a New York”.

Un attimo prima le chiede di sposarla, un attimo dopo ha esaurito le emozioni.

Tutto è dovuto, tutto è accettabile, tutti devono perdonare e capire perché lui è così.

Tutti, tranne me, che, ripeto, l'avrei preso a badilate.

Alcuni personaggi secondari, invece, sarebbero stati anche interessanti, ma purtroppo non c'è approfondimento nei loro confronti, tranne il poco necessario alla gravitazione intorno al protagonista.

Mi fa molto male scrivere queste cose perché, senza contraddirmi, Cohen sa usare eccome le parole e lo sappiamo dalle sue canzoni e dalle sue poesie: ci sono diversi paragrafi, nel romanzo, che presi a loro stanti rappresenterebbero delle splendide citazioni.

Un romanzo, però, non è un componimento poetico, non è una canzone e non è una raccolta di citazioni e questo libro, come romanzo, si riesce quasi a salvare solo per le capacità linguistiche dell'autore.

Ho letto in una recensione che questo libro è stato scritto per lo scrittore, non per i lettori: mi sento di concordare appieno.

Dopo tutto questo dovrebbe essere scontato che io non lo consigli affatto, però non è del tutto vero. C'è chi lo adorerà (e su Goodreads è pieno di persone che gli hanno dato quattro o cinque stelle) per gli stessi motivi per cui ho fatto fatica a sopportarlo io.

Lascio a voi la scelta.

Io, la mia, l'ho fatta: il prossimo romanzo (che avevo comprato insieme a questo) aspetterà un bel po': dicono che sia molto migliore, ma preferisco aspettare e digerire questo.

 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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