257. Tradizioni
La tradizione, quand’eravamo a Milano, onestamente non la ricordo.
Forse ero troppo piccolo, forse non percepivo il concetto di tradizione, forse semplicemente non esisteva se non in forma di base.
Sì, si aprivano i regali la sera della Vigilia (mai aperti io la mattina di Natale, le origini meridionali alla fine c’erano), ma tutto qui; spesso neanche aspettavamo mezzanotte: a volte mi capitava di pensare che, in realtà, il Natale fosse il 24, dato che le cose divertenti avvenivano allora.
Poi abbiamo iniziato ad andare alla casa in campagna e lì, in qualche modo, le cose presero maggior forma.
Gli addobbi, di cui ho già parlato.
Veniva Fedora, l’amica-quasi-sorella di mia madre, a volte il suo compagno.
Si faceva una cena buona ma non paragonabile a un cenone.
I miei mangiavano (tanta) frutta secca.
Si giocava a carte (quasi sempre scala quaranta… finii per odiare la scala quaranta), poi ci si stufava e si aprivano i regali.
A volte capitava anche di andare a messa, più negli ultimi anni (e no, il sottoscritto non era minimamente interessato ma ai tempi non avevo molta voce in capitolo).
Il pranzo da rotolamento era a Natale e lì ci si sbizzarriva: poteva essere pasta al forno (pasta, non lasagne: quella meridionale in cui ci si mette il mondo e anche qualcosa in più), potevano essere orecchiette, pasta al torchio e via andare in questo modo fino a pandori e panettoni vari.
Poi trascorrevo il pomeriggio a scoprire i regali aperti la sera prima.
Negli anni in cui c’erano Lupo e Lucky li portavo a fare una passeggiata.
Quando mia madre morì, cercai di mantenere in qualche modo la tradizione.
Vigilia, regali.
Pranzo… Il pranzo diventò strano: a volte invitati da amici o conoscenti, una volta finimmo per mangiare al ristorante cinese io e mio padre.
Quando iniziai ad avere rapporti di coppia più o meno lunghi il patto divenne implicito: in caso si vivesse insieme, la sera della Vigilia era con mio padre, da solo o insieme, poi il giorno dopo si poteva andare dove volevamo; per me l’importante era la Vigilia.
Infine arrivò il 2008.
E a ridosso di Natale se ne andò mio padre e con lui anche le nostre tradizioni.
Ci fu da costruirne di nuove.
Mangiare a Milano il giorno della Vigilia dopo più di vent’anni.
Si prese l’abitudine del cinema la sera del 24, banale ma piacevole.
Il pranzo con la famiglia della mia compagna il giorno dopo.
Nei miei sogni ci sarebbe stato fare qualcosa con gli amici, ma purtroppo certe tradizioni sembrano più anglosassoni che italiane e quindi pazienza.
E di nuovo le cose sono cambiate e da quando sono con Miss Sauron mi sono trovato giustamente a entrare in tradizioni preesistenti.
La sera della Vigilia cena fuori: io, lei, i suoi genitori e un caro amico che, purtroppo, riusciamo a vedere troppo poco.
Chiacchiere, risate, buon cibo, curiosità.
Armonia.
Il giorno dopo il classico pranzo.
I regali.
Gli scherzi.
Il ridere e prendersi in giro.
Il mangiare bene.
Il bere bene (chi beve, io mi chiamo fuori).
E, se rimane tempo, anche il cazzeggiare con qualche gioco da tavolo.
Le mie tradizioni, quindi, negli anni e nei decenni si sono stravolte, finendo per essere di tutto tranne che tradizioni.
O forse no.
Perché, se ben guardo, una costante rimane: ogni Vigilia (tranne forse una, ma non ne parlerò ora) è sempre stata caratterizzata da una cosa.
L’amore.
Fosse esso familiare, di coppia, di amicizia.
Ogni Vigilia è sempre stata immersa nel piacere di stare con le persone che in quel momento erano con me.
Il Natale no.
Ho trascorsi giorni di Natale con gente di cui a malapena sapevo il nome e che a malapena sapevano il mio.
Ma la Vigilia, quella ha sempre avuto questa connotazione.
Che si fosse in due, in cinque o più.
La Vigilia è sempre stata il piacere di stare insieme.
E questa, penso, è l’unica tradizione che davvero conta.
Lo so, sono in ritardo ma ho molti chilometri alle spalle, tanta gente da vedere e non sempre riesco ad avere internet. Ora sono ferma per un giorno e rubo la connessione…finalmente riesco a farti gli auguri e a leggerti.
Un forte abbraccio.
Auguri di cuore anche a te 🙂