218. Pensarci
In uno scambio di messaggi, un'amica mi ha scritto che la tragedia di sabato l'ha spinta ulteriormente a riflettere a quanto voglia sentirsi “degna” della propria vita, viverla appieno, perché la nostra fragilità è sempre dietro l'angolo; ha concluso con una frase verissima “tanta gente è infastidita dal parlare della morte”.
Vero.
La (nostra) morte è spesso l'ultimo tabù. Se viene citata, spesso si fanno gesti scaramantici, se qualcuno ne fa cenno, in molti casi la risposta è “non voglio sentirti fare questi discorsi”.
Eppure è la morte a definire la vita, una banalità tale e tanto evidente che inevitabilmente finisce per essere dimenticata. Quante volte film, telefilm e libri ci hanno mostrato esseri immortali che finivano per perdere il legame con la vita?
La morte è quella soglia maledetta quanto vogliamo che però ci dice che il nostro tempo non è infinito, che non possiamo continuare a rimandare, che arriverà un istante in cui non avremo più modo di fare quel qualcosa che potevamo fare ieri: un istante che può essere lontanissimo, può essere domani ma che non c'è verso che possiamo ipotecare.
Ricordarselo non significa (o non sempre, non soltanto), come molti credono, rattristirsi o essere macabri, significa volersi ricordare di quanto sia prezioso ogni nostro respiro e fondamentale riempirlo di tutta la vita, le esperienze, i batticuore, le emozioni, i respiri, le risate, le lacrime, le litigate, gli abbracci, i baci di cui siamo capaci.
Adesso.
Perché siamo vivi adesso.
Ricordo anni fa, quando morì l'amica di mia madre che, in qualche modo, ne aveva fatto le veci dopo la sua morte.
Fu un dolore sordo, di quelli che non arrivano come un pugno in faccia, ma svuotano il petto lasciando una caverna dove dovrebbero esserci cuore e polmoni.
Lo ricordo perfettamente.
E ricordo perfettamente che la sera del giorno in cui andai a darle l'ultimo saluto, mi trovai a fare l'amore con la mia partner di allora con una fame, con un bisogno che non penso di aver mai provato prima di allora; qualcuno potrebbe pensare che la cosa sia squallida o fuori luogo: io, invece, in quel momento ho compreso il significato della frase “la morte chiama la vita”.
Ricordare quanto siamo fragili, quanto siamo volatili, può far sì, deve far sì che raccogliamo a piene mani ciò che possiamo vivere ora.
Ora.
Non domani.
Non “appena posso”.
Ora.
L'ho imparato quel giorno.
A volte, colpevolmente, me ne scordo.
Stesso pensiero che ho avuto io. Mai come in questi giorni sento il bisogno di vivere, e di farlo intensamente. E mi guardo attorno e sono grata per chi c’è accanto a me in questo viaggio. Si dovrebbe ricordarlo sempre.
Esattamente, cara. Esattamente