208. È difficile lasciare andare le piccole cose
Quando morì mia madre, una delle mie prime reazioni fu quella di tenere da parte suoi oggetti. Una borsa, uno scialle, un profumo.
Pensavo che avrebbero tenuto vivo il suo ricordo, che tenendoli stretti a me avrei avuto una parte di lei.
Addirittura finii per guardare storto mio padre quando iniziò a cambiare alcune cose nella casa dove lui viveva, come se quei cambiamenti avessero potuto cancellare la presenza di mia madre.
Quando morì mio padre, in parte, accadde qualcosa di simile. Presi con me il suo borsello. Un suo giubbotto. Un suo portachiavi.
Di nuovo l'istinto fu quello di avere con me qualcosa di suo, per tenerlo con me.
Ma gli oggetti non trattengono le persone, né la loro essenza, né il loro simbolo.
La borsa di mia madre è finita in un cassetto per anni, finché non ho deciso di donarle una nuova vita.
Il borsello di mio padre è nel mio armadio.
Il giubbotto lo uso ancora di inverno, perché è un bel giubbotto.
Ma le essenze non ci sono più.
La presenza non è lì dentro.
Eppure appena qualcuno ci lascia cerchiamo consolazione nei suoi oggetti, in ciò che era loro, ciò che li accompagnava giorno per giorno: sentiamo l'odore su una maglia, vediamo i segni di utilizzo su qualcos'altro.
Ma non durano.
Mai.
E dopo mesi, dopo anni, scopriamo che quello che rimane in noi di chi ci ha lasciati non è negli oggetti, ma è in qualcosa di più etereo eppure più reale.
È nei ricordi.
È nelle parole, memorizzate o scritte.
È nell'eredità di emozioni che la vita vera lascia alle sue spalle, nella traccia che ognuno di noi deposita muovendosi nelle vite degli altri.
Sono profumi dell'anima, suoni della mente, immagini del cuore.
Ed è la vera essenza di ognuno di noi.
È l'aneddoto divertente a distanza di anni, quel litigio che tanto ci fece star male, quelle parole pronunciate sotto voce all'improvviso.
E sono, se capita, le parole lasciate scritte.
Dediche su un libro.
Biglietti per una ricorrenza.
Lettere.
Poesie.
Anche un blog, volendo.
La nostra eredità è l'anima che ci lasciamo dietro, quella che rimane in coloro che ci hanno amato e, perché no, detestato.
La nostra eredità è il ricordo che avranno di noi, il sorriso che faranno raccontando di quella cazzata che ci siamo inventati, la voce rotta al pensiero di un dolore condiviso, la gratitudine al ricordo di un aiuto ricevuto.
La nostra eredità è ciò che avremo espresso con azioni e parole.
Gli oggetti, quelli diventano importanti solo quando continuano a vivere: perderanno forse il loro ricordo iniziale e assumeranno magari un valore nuovo, quello di storia che si accumula.
Stasera era al Teatro Libero a vedere uno spettacolo dedicato ad Alda Merini. Nella (splendida) rappresentazione, l'angelo custode di “Aldina” piange, pur non volendo, la sua scomparsa e cerca di tenere stretta a sé tutti i piccoli oggetti che gliela ricordano: la collana, una farfalla meccanica, una sigaretta, la macchina per scrivere.
Ma gli oggetti non consolano.
Le parole di Aldina sì.
Le memorie dei suoi racconti sì.
L'amore che ha lasciato dietro di sé sì.
Il racconto divertito delle sue battute più o meno volgari sì.
“È difficile lasciare andare le piccole cose”. Ma è quando riusciamo a farlo che scopriamo le grandi che ci sono rimaste.
E andando via da uno spettacolo del genere, insieme alla commozione, c'è sempre quel pensiero.
Della traccia che lasciamo negli altri.
E la speranza che almeno un sorriso lo possa strappare.
Oggi come un giorno lontano.
Grazie.
Sei riuscito a strapparmi un sorriso.
Sei riuscito a strapparmi una lacrima.
Oggi come un giorno lontano
Sono io a ringraziarti, invece. Che sapere di fare questo effetto è un dono importante.
Grazie