180. Low Power

Una giornata strana.

Due persone, due amici, hanno perso il padre nel giro di questi ultimi due giorni. E capisco tanto bene il loro dolore da non poter dire nulla, perché so che nulla serve e so che telefonare è invadere, che scrivere è superficiale, che esserci è impossibile causa distanza. Ho scritto comunque. Poco. Probabilmente non arriverà. Ma capisco il loro dolore e so quanto dilania. E quanto non passerà.

Ma se escludo questo non piccolo pensiero, la giornata rimane strana. Neutra. Insipida, se vogliamo.

Un malessere fisico un po' generale, una voglia praticamente nulla di lavorare (e, ovviamente, parecchio da fare in attesa), un fastidio generico non ben indirizzato.

Se qualcuno mi dovesse chiedere “cosa non va” avrei poche risposte da dare, a parte quelle relative ai problemi sempre lì in attesa: ma quelle sono lì, bruciano in sottofondo e costantemente, ma non cambiano.

No, qui è qualcosa di diverso.

Quella sensazione di attesa per non si sa cosa. Un'attesa che, però, non è accompagnata dalla creazione, bensì dal semplice procedere. Un'attesa che non viene interrotta neanche da una possibile nuova proposta lavorativa perché, diciamocelo, al momento il lavoro mi soddisfa solo nella misura in cui mi permette di arrivare a fine mese senza sforare col fido.

Così si aspettano con ansia i picchi.

Come Londra, come il Planetario, come Lucca, ma non si può vivere aspettando i picchi, non può e non deve funzionare così.

Eppure il resto rimane attesa.

Attesa di momenti di cazzeggio.

Attesa di chiacchiere con persone care.

Attesa di tempi propri vissuti a pieno.

Attesa di commenti sul romanzo.

Attesa di ricominciare a scrivere (e no, non dipende solo da me, in realtà).

Attesa di tornare a sentirsi attivi e non a basso consumo.

È come non essere a regime, come vibrare a una frequenza diversa non solo dal resto del mondo, ma anche dalla propria e trovarsi isolati in quella frequenza perché nessuno, tu in primis, è sintonizzato lì sopra.

Come essere trasparenti.

Anche e soprattutto a se stessi.

Non è farla tragica e magari domani scriverò un post su quanto me la sono goduta nel pomeriggio a leggere al Parco del Valentino a Torino (d'altronde l'intenzione è quella), ma è mettere nero su bianco quelle sensazioni di fastidio che spesso si fa fatica a definire e che, invece, proprio definendole possono essere riconosciute e, in qualche modo, dimensionate.

O almeno spero.

Intanto Samhain si avvicina e quest'anno lo sento più che mai.

 

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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2 risposte

  1. ziacris1 ha detto:

    In attesa, sospeso, guardandoti attorno senza vedere nulla ed essendo insoddisfatto di tutto è tutti,perché questa non è una situazione che ti piace

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