113. Work in progress. And in progress. And in progress.
Ho trascorso più di un anno senza quasi scrivere il romanzo.
Troppi cambiamenti, in me e attorno a me, troppo cose con cui riprendere le misure, troppo di tutto.
Poi ricominciare è stato quasi come partire dall'inizio: riscoprire i personaggi, ricordare dov'eravamo arrivati, riprendere le fila.
Pensavo, speravo di riuscire a riprendere in modo continuativo, ma ho sempre dato (dovuto dare?) priorità ad altre cose.
Al lavoro, ovviamente.
Ai casini, altrettanto ovviamente.
Alla stanchezza, meno ovvio ma presente.
Al camminare, al pedalare, al fare qualunque cosa.
A volte era anche sufficiente non sentirmi comodo alla mia scrivania per fermarmi.
Scuse inconsce per non andare avanti?
Non lo so, forse sì. Forse la paura di non farcela, il blocco, i pensieri mi hanno fatto ingigantire ostacoli in realtà non così grandi.
Ma ogni tanto riesco a superarli.
Una pagina.
Due.
Un capitolo.
E poi arriva una serata come stasera, in cui inizialmente mi ero promesso di scriverne almeno una, solo per rompere di nuovo il ghiaccio.
È iniziata così.
Poi ho cenato.
Ed è successo qualcosa che non succedeva da tempo.
La testa è rimasta in quel mondo.
Ha continuato a pensare a come far evolvere quel che stava succedendo.
A come arrivare al momento successivo.
Così mi sono messo in poltrona.
Pensavo solo di prendere qualche appunto per fermare le idee, ma non bastava.
Ho riaperto il capitolo e, semplicemente, ho scritto.
Nonostante i messaggi al momento sbagliato, nonostante la stanchezza, nonostante tutto.
Ho scritto.
Cinque pagine.
Finito il capitolo.
Stasera, un lunedì, dopo un pomeriggio di lavoro.
E ho scoperto che in poltrona si scrive pure bene.
E ho capito che forse posso farcela anche se sono stanco.
E ho ricordato quanto mi faccia star bene farlo.
E non ve ne fregherà nulla, ma porca zozza quanto è bello che succeda un lunedì sera dell'ultima settimana di lavoro.