34. Benaltrismo, buona fede, frizzi e lazzi
Non so quanti siano a conoscenza del “caso” ISBN, ma comunque vi rimando a questo articolo per mettervi in pari.
Fatto?
Bene.
A questo articolo dobbiamo aggiungere che, come ormai è quasi la regola, su Twitter si è scatenato il linciaggio mediatico contro Massimo Coppola e, quando si scatena un linciaggio mediatico, così come ci sono quelli che salgono sul carrozzone di chi lincia, allo stesso modo ci sono quelli che assurgono a difensori tout court.
Personalmente tendo a tenermi fuori da queste situazioni, ma oggi un tweet mi ha fatto venire voglia di rispondere. Ne è nata una discussione (per quanto ci possano essere discussioni su 140 caratteri) che, partita da un punto, si è poi spostata velocemente vero un altro.
Il tweet originale era questo (non sto a linkarvi tutto lo scambio, se volete potete andare a leggerlo):
la mondadori paga tutti grazie ai soldi ottenuti coi mezzi di berlusconi. lo stronzo é @massimcoppola che ha cercato un'alternativa. bah.
— kay (@000aaa123iii) May 16, 2015
Ecco, quando ho letto questa cosa mi sono alterato. Di nuovo benaltrismo.
Di nuovo dire “ah, c’è chi fa di peggio, cosa rompete le palle a lui?”.
No. Non funziona così. Se c’è chi fa di peggio, quello che fa di peggio va perseguito, ma nel frattempo anche chi ha fatto “meno peggio” deve meritare un’adeguata punizione.
Dopo alcuni scambi con l’autrice del tweet (che a un certo punto aveva anche ribattuto un “beh, allora teniamoci Berlusconi”), la cosa sembra si sia chiarita con un “no, ma io intendo che non sopporto i linciaggi pubblici. E poi lui non è che sia stato un truffatore, ma solo un cattivo imprenditore”, quindi diciamo che il benaltrismo iniziale era risultato di un espressione infelice (do il beneficio del dubbio).
Il discorso, però, penso meriti un ulteriore approfondimento e vorrei riassumere un secondo il mio pensiero, dando per assodato che parlerò sulla base di quanto letto in rete, ovviamente, e che pertanto potrebbe tranquillamente trattarsi di aria fritta.
Qui abbiamo un imprenditore.
Questo imprenditore (lo dice il nome) imprende un’attività, ovvero decide di correre il rischio di mettersi in proprio, portare avanti un’impresa economica e avvalersi di collaboratori per farlo.
Bene.
Ora, a meno che i collaboratori non siano soci di questa attività, loro non hanno deciso di sostenere un rischio: sono stati contattati per svolgere un lavoro che va retribuito.
Se la società va male, se quel che speravi funzionasse non funziona, il problema non è dei collaboratori, non è dei fornitori, non è degli altri. E’ tuo perché tu hai deciso di correre il rischio ed è tua responsabilità garantire per chi ha lavorato per te.
Se, come sembra, non solo non paghi ma non rispondi alle richieste, non spieghi la situazione, ti fai sostanzialmente di fumo, allora non sei solo un cattivo imprenditore, passi nella malafede.
Il linciaggio mediatico è sempre grave e pericoloso, ma altrettanto grave (non è benaltrismo, è constatazione) è che senza quel linciaggio non ci fossero state risposte su canali consoni. Anche questo denota malafede e anche questo non depone a favore dell’imprenditore.
Mi si dice che dovrà pagare in sedi consone. Verissimo.
Ma chi, davvero, ci rimetterà in tutto questo? Lui? Probabile, ma lui aveva la responsabilità della sua scelta. Quelli che hanno lavorato per lui e non hanno visto soldi? Loro che responsabilità avevano preso se non la buona fede di un lavoro svolto e da retribuire?
Un conto sarebbe stato se fosse andato dai collaboratori e avesse detto “guardate, io sono messo male, sto cercando di cavarmela e senza il vostro lavoro non posso farcela. Siete disposti ad aiutarmi” e loro avessero accettato.
Sarebbe stata dimostrazione di onestà intellettuale, coraggio e condivisione della responsabilità: chi fosse rimasto non avrebbe avuto di che lamentarsi, perché aveva scelto di farlo.
Così non è andata, da quel che si legge (vedi sopra tutte le discriminanti del caso).
Quindi no, mi spiace, non sodalizzo con Coppola se non per l’odioso linciaggio mediatico dei lupi da branco.
Quello mi fa sempre schifo.
Ma, tolto quello, le uniche persone che hanno la mia simpatia rimangono quelle che hanno fatto un lavoro e che non lo vedranno pagato o, se anche, lo vedranno tra chissà quanto e che se non ci fosse stato questo tam tam mediatico neanche avrebbero visto nominato il proprio caso.
La cosa, poi, ancora più triste è che il caso di ISBN non è unico. Di editori che non pagano i collaboratori è pieno: so per certo almeno di un piccolo editore specializzato in economici, ma se cercate in rete di esempi ne trovate parecchi.
Poi possiamo preoccuparci della fusione RCS/Mondadori, dei colossi, di tutto quello che volete. Ma rendiamoci anche conto che se l’alternativa sono piccoli editori che non pagano, allora il problema è ben più grande del grosso bersaglio facile da puntare.
Ma, si sa, il grosso e cattivo è il male.
Il piccolo che non paga fa simpatia, evidentemente.
Tranne a chi non è stato pagato.
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Edit delle 11.39: ISBN ha pubblicato sul proprio sito questo articolo riassuntivo. Personalmente la mia opinione non cambia di una virgola. Scusateci” non serve a niente e “abbiamo peccato di speranza” neanche, anzi, fa incazzare. Se riesci a tenere aperto lo fai, se no chiudi prima, non tieni in ballo gente che dipende dal proprio lavoro per campare. E lo dico da piccolo imprenditore che si barcamena ogni mese nella speranza di stare a galla, ma che se contatta un fornitore lo paga puntualmente, altrimenti non lo contatta.