Equo?
C’è una barzelletta che gira da tempo in rete e che recita più o meno così:
Un mattino un uomo torna dopo molte ore di pesca e decide di fare un sonnellino. La moglie, sebbene non sia pratica del lago, decide di uscire in barca. Accende il motore e si allontana dalla riva per una breve distanza: spegne il motore, butta l’ancora, e inizia a leggere il libro che aveva portato con sé.
Una Guardia Forestale arriva e con la sua barca si avvicina a quella della donna:
– “Buongiorno, Signora. Le posso chiedere che cosa sta facendo?”
– “Sto leggendo un libro, vede?” – risponde lei.
– “Signora, lei si trova in una zona in cui è vietata la pesca!”
– “Agente, io non sto pescando. Sto leggendo il mio libro!”
– “Signora, lei però ha con sé in barca tutta l’attrezzatura necessaria alla pesca. Per quanto ne so potrebbe cominciare in qualsiasi momento. Devo portarla con me e fare rapporto”.
– “Se lo fa, agente, dovrò denunciarla per molestia sessuale” – ribatte la donna.
– “Ma se non l’ho nemmeno toccata!” – dice la Guardia Forestale.
– “Questo è vero, ma possiede tutta l’attrezzatura. Per quanto ne so potrebbe cominciare in qualsiasi momento!”
– “Le auguro buona giornata, signora” – La guardia se ne va.
Carina, vero? D’altronde chi potrebbe pensare di prendere provvedimenti con qualcuno solo perché, potenzialmente, potrebbe fare qualcosa di sbagliato?
Eppure ci succede ogni giorno o quasi.
Quando compriamo supporti digitali, tablet, smartphone, chiavette usb, hard disc e chi più ne ha più ne metta.
Si chiama “equo compenso” e, se per cellulari e tablet incide in modo irrisorio, il discorso si fa diverso quando parliamo di hard disc e chiavette.
Ma non voglio correre.
Cos’è l’equo compenso?
Si tratta di una cifra che viene fatta pagare all’acquirente, formalmente per “legittimare la copia per uso privato” ma, sostanzialmente, perché potrebbe potenzialmente copiare su quei supporti materiale protetto da copyright.
Ripeto: “potrebbe”.
In pratica io, che sviluppo software e che sugli hard disc salvo backup di qualcosa prodotto esclusivamente da me, devo pagare la SIAE perché, se volessi, potrei copiarci sopra una canzone.
Una canzone che potrei aver regolarmente comprato, tra l’altro.
Una canzone che, se ho comprato su Itunes (per fare un esempio), ho anche già pagato un po’ di più proprio per poterla copiare su altri supporti (Itunes da qualche anno ha sprotetto la musica acquistata, facendola pagare qualche centesimo in più per questo).
Già, perché (se vogliamo seguire la prima “ufficiale” descrizione di questo balzello) noi non abbiamo diritto di avere una copia di qualcosa che compriamo.
Paghiamo fior di soldi (perché sì, un blu-ray a 25 euro non è regalato, così come un cd a 15 o 20) e non avremmo diritto di farne una copia di sicurezza, a meno di pagare questa cifra.
E, per capirci, stiamo dicendo che su un hard disc da 500GB io spendo 5 euro di equo compenso.
Per un qualcosa che non è affatto detto succederà.
Io devo pagare 5, 10, 20, 30 euro (gli hard disc da 3TB sono ormai ben diffusi) anche se quell’hard disc lo userò per salvare le foto e le riprese fatte ai miei gatti.
Ma la vera motivazione, lo sappiamo tutti, è l’aver una presunta contropartita alla pirateria.
E qui vorrei esprimere un ragionamento mio ma che penso possa essere condiviso da un po’ di persone.
Lungi da me sminuire il fenomeno della pirateria.
Il presupposto sbagliato è che chi scarica, se non lo facesse, comprerebbe.
Non vorrei traumatizzare la SIAE e le signore case discografiche/produttrici, ma posso assicurare con una buona dose di certezza che tale assunto è un’emerita cazzata.
Chi scarica qualcosa e poi non lo compra consuma i prodotti audiovisivi come fossero hamburger di un fast food: non è gente che compra, è gente che, piuttosto, non guarda.
Addirittura, invece, può essere che qualcuno scarichi, guardi, apprezzi e poi compri perché vuole dare il giusto compenso agli autori e/o perché vuole avere i film nella sua collezione.
Questa è la gente che compra e sempre comprerà (sempre che la si pianti di aumentare i prezzi).
Invece di far pagare qualcuno per ciò che “potrebbe fare” (dio quanto odio questo condizionale) perché invece non rendere fruibili a prezzi accettabili i contenuti?
Perché non rendersi conto che il mondo degli audiovisivi (e dell’editoria) è cambiato e agire di conseguenza?
Perché non fornire streaming a basso prezzo?
Non sarà mica un caso il fatto che una delle ricerche più frequenti è “Netflix in Italia”, no?
Netflix chiede circa 5 euro al mese per fornire innumerevoli film e serie tv.
In Italia ci teniamo Sky. O mediaset premium. E pay per view a 5 euro a botta.
Ma la colpa è di chi scarica, giusto?
Facciamo anche l’esempio dell’editoria, non soggetta a equo compenso ma integrabile per quanto riguarda il discorso pirateria.
Al momento (salvo rari brillanti casi esteri) se compro un libro cartaceo non posso scaricarne l’e-book.
E se compro l’e-book non posso (salvo strane manovre più o meno lecite o “autorizzazioni speciali”) copiarlo su un altro dispositivo.
O prestarlo a un amico.
Perché?
Io quel libro l’ho pagato.
Devo forse pagarlo due volte?
E perché non posso prestarlo?
Avete idea di quanta gente si compra un libro dopo che qualcuno gliel’ha prestato?
Niente, anche in questo caso il vuoto.
Ci ritroviamo ad avere il 22% di iva sugli e-book, a non potere avere una copia digitale di un libro comprato e poi ci si lamenta se si vende poco.
E si dice che la pirateria danneggia gli autori.
Balle.
Faccio un esempio per tutti.
Francesco Dimitri è un autore non solo in gamba ma parecchio attento alla realtà attuale.
Quando uscì il suo Pan, fu uno dei libri più piratati che si trovassero in giro.
Lui non si arrabbiò, anzi, era contento perché il suo nome girava.
Poi, un giorno, ha avuto la possibilità di pubblicare una versione digitale di Pan in modo ufficiale, su Amazon.
Ha scelta di venderla a circa 1 euro o 2.
E’ stato uno dei libri più venduti su Amazon di quel periodo.
Eppure c’era già la versione pirata, quindi perché?
Perché se un prodotto è di qualità e il prezzo è accessibile, allora si vende.
Ma per accettare questo bisogna abbandonare quelli che si ritengono diritti acquisiti, smettere di toccare le tasche di chi è più facile raggiungere e fare una sana autocritica.
Non tutti ne sono capaci, men che meno la SIAE e tante case di produzione o editori.
Da qui l’equo compenso.
Sarebbe da chiedersi equo per chi.
E’ un concetto molto relativo :/
Relativo forse, ma chissà perché va sempre a toccare le persone sbagliate, ma più facili da toccare. E il ritorno a chi dovrebbe essere interessato non è neanche paragonabile a quel che ci sarebbe con un’offerta più oculata.