“Grassone”
C’è uno scrittore che penso in molti conoscano, più o meno direttamente, anche per la serie TV tratta dai suoi libri, Games Of Thrones.
Lo scrittore si chiama George R.R. Martin.
Io, al momento, non l’ho ancora mai letto: seguo la serie tv con passione, ma dato che i libri non sono ancora stati scritti tutti ho preferito aspettare a iniziarli.
Molti, però, non hanno fatto come me e ci sono nugoli di fans inviperiti perché il buon George da parecchio tempo ormai non sforna l’ennesimo libro della saga e, soprattutto, non si sa ancora quando questa sarà conclusa.
Fin qui nulla di che.
Quel che però ho notato a lungo sui vari siti (ma anche dal vivo) è che (molti di) questi fan inviperiti finiscono invariabilmente per passare agli insulti personali, tipicamente rivolti alla non certo minimale stazza dell’autore.
“Quel grassone si dovrebbe decidere a scrivere” è una delle frasi più comuni che ho letto.
La domanda è semplice.
Perché?
Perché per attaccare qualcuno con cui siamo in disaccordo si deve finire a fare attacchi personali, tipicamente legati all’aspetto fisico (o, nel caso delle donne, a più o meno veritiere esperienze sessuali passate, presenti e future)?
E’ un atteggiamento talmente radicato che quando l’ho fatto notare a qualcuno che ritenevo mediamente intelligente mi rispose che “non era detto con cattiveria” o che “non riteneva di essere stata così cattiva”, salvo poi rendersi conto che invece sì, lo era stata e l’aveva fatto dando per scontato che fosse legittimo.
Si passa tanto tempo a condannare il bullismo, a condannare il sessismo, a condannare il razzismo da non rendersi conto che certe frasi si poggiano sullo stesso identico terreno: quando per confrontarci più o meno bonariamente con qualcuno passiamo ad opporci a lui sulla ragione del contendere, bensì su sue caratteristiche personali, abbiamo fallito.
Fallito come “avversari”, fallito come persone, fallito come uomini.
E il bullismo e l’intolleranza nascono su queste fondamenta.
Nascono dal fatto di non ritenere grave un insulto personale fatto a qualcuno o, addirittura, ritenerlo divertente.
Io ho passato l’adolescenza in questo modo.
Preso per i fondelli riguardo al mio aspetto fisico (non sono mai stato una silfide) perché ero il classico secchione che stava sulle palle.
E quindi via con gli insulti.
Via con le battute.
Via con le offese.
Con le umiliziazioni.
E sì, è vero, con gli anni si può imparare a “vendicarsi” diventando persone di cui essere fieri.
Io l’ho fatto.
Ma posso assicurarvi che certe ferite restano ancora a distanza di trent’anni.
Questo perché qualcuno a cui stava sulle palle che io studiassi e mi piacesse farlo (perché sì, in Italia spesso è cosa di cui vergognarsi) aveva deciso di sfottermi sul fatto che fossi sovrappeso.
Ora pensate a una vostra giornata.
Pensate a qualcuno che vi ha fatto arrabbiare o che vi sta proprio sulle palle.
Pensate a quali parole, per insultarlo o battibeccarci, usereste.
Se ce n’è anche solo una che esula dal motivo, se ce n’è anche solo una che riguarda l’aspetto fisico o qualche altra caratteristica “diversa” allora in quel momento non siete davvero migliori di quelli che mi prendevano per i fondelli a scuola o di quelli che ritengono corretto o “poco grave” dare della pompinara a una donna.
La buona notizia è che se ve ne accorgete siete ancora in tempo per correggervi.