Molto Forte, Incredibilmente Vicino

Dopo il lungo periodo di smistamento della coda di lettura di fumetti ho ben pensato di iniziare l’anno “librario” con un romanzo che era rimasto parecchio in coda, in attesa del “momento giusto”; mi aspettavo infatti un libro intenso, coinvolgente o, comunque, emotivamente “forte”, tanto per parafrasarne il titolo, e volevo essere pronto a viverlo a dovere.

Aspettative ripagate? Posso dire da subito di sì, ma anche che quel che mi sono trovato davanti è stato comunque molto diverso da quel che mi aspettavo.

Provo a spiegarmi, ma anticipo che difficilmente sarà possibile rendere l’idea di che cos’è veramente questo romanzo.

“Molto Forte” parte da una base semplice e a forte rischio di strumentalizzazione, un rischio che non diventa mai realtà: un bambino di 9 anni, Oskar, ha perso il padre nella tragedia dell’11 settembre e sta cercando di superarne il trauma; un giorno trova una chiave in un vaso, con inciso sopra il nome “Black” e decide di scoprire cosa quella chiave rappresentasse per il padre, come se fosse una sorta di eredità lasciatagli in segreto.

Come dicevo, questa è la semplice idea di partenza, ma nient’altro in questo libro è semplice.

Non è semplice lo stile narrativo che, anzi, può risultare inizialmente piuttosto ostico: l’autore, infatti, passa dal punto di vista di Oskar a quello di altri protagonisti usando sempre la prima persona ed usando più la tecnica del flusso di pensieri che una vera narrazione organica, sfruttando anche immagini, foto ed effetti grafici originali ed efficaci.
Sia chiaro: tutto, soprattutto dalla seconda parte, torna, ma si tratta di uno stile che da principio può risultare meno digeribile.

Ma soprattutto è il contenuto ad essere tutt’altro che semplice.

E’ lo sguardo su una famiglia attraversata per generazioni da perdite.

E’ la descrizione di come si possa smettere di vivere senza neanche rendersene conto e di come si possa dare per scontato l’affetto di chi ci circonda.

E’ soprattutto una storia di “sopravvivenza”.

E’ il racconto di come i superstiti possano vegetare, sopravvivere o combattere coi denti per vivere, nella memoria di chi li ha lasciati.

E’ una storia di dolore, non quello immediato della perdita, ma quello continuo e latente della mancanza.

E’ una storia che nasce per ricordare che qualunque tragedia piccola o grande (11 settembre, Dresda, Hiroshima) è composta da singoli, insopportabili, dolori.

Tanti sono i punti che lasciano riflettere e colpiscono allo stomaco: personalmente, però, ho una frase che mi è rimasta impressa perché avrei potuto dirla io e, anzi, penso di averla detta in vari modi.

Una protagonista ricorda l’ultima volta che ha visto in vita una persona cara e rammenta di non averle detto “Ti voglio bene”. Pensava ci fosse tempo per dirlo. Pensava che ci sarebbero state tante altre occasioni. Pensava che “non fosse necessario”.

E invece, si dice, “E’ sempre necessario”.

Ricordiamocelo.

E’ sempre necessario.

Aries

Finché potrò continuerò ad osservare. Finché osserverò continuerò ad imparare. Finché imparerò continuerò a crescere. Finché crescerò continuerò a vivere.

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8 risposte

  1. 4p ha detto:

    Assolutamente necessario, ed è tanto bello dirlo, fa stare bene sia a chi lo dice che a chi lo riceve.
    Niente è scontato in questa vita, i sentimenti vanno detti senza timori, senza vergogne, senza falsi pudori. Non è scontato voler bene nemmeno al proprio figlio, c’è bisogno di esternare questa frase “ti voglio bene”.
    Certamente ognuno è fatto a modo suo e non sempre è facile, ma credo e penso che ne valga proprio la pena.
    Nel comportamento può essere sottinteso, il voler bene, ma dirlo e sentirselo dire è una grande conquista liberatoria.
    La penso così.
    4p

  2. wolkerina ha detto:

    Fai venire voglia di leggerlo.. Dello stesso autore qualche anno fa ho letto “ogni cosa e’ illuminata”, anche qui lo stile narrativo e’ particolare, e quando arrivi alla fine senti che ti ha lasciato qualcosa dentro

  3. DARKVAMPIRELLA ha detto:

    Ho amato questo libro con tutto il cuore.
    E mi ha dato le medesime sensazioni…. e la stessa voglia di non sprecare nemmeno un istante, e di dire tutto, sempre, perchè non si sa quando e se, se ne avrà di nuovo l’occasione!

  4. Ho amato molto questo libro… e giusto ieri sera mi è tornata in mente quella frase bellissima “Non ci si può difendere dalla tristezza senza difendersi dalla felicità”… una frase così semplice e così vera..
    Giuro che non avevo ancora letto il tuo post, quindi mi fa quasi un po’ strano questo accordo cerebrale su questo libro.

    E hai ragione, è sempre necessario.. ma a volte la bocca tace quello che si vorrebbe dire, almeno per quanto mi riguarda..

    • Aries ha detto:

      Quando hai postato ieri sera ci ho pensato immediatamente 🙂

      Ed è vero… a volta la bocca tace, ma bisogna insegnarle a non farlo. E’ più facile di quanto si creda, dopo un po’, sai?

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