La voce del fuoco
Prendere in mano un libro scritto da Alan Moore può non voler dir molto per chi non ha mai letto certi tipi di fumetti.
Ma per chi conosce capolavori (sì, VERI capolavori) come "V for Vendetta" e "Watchmen" non può non avvicinarsi ad un romanzo dell’autore/sciamano con un misto di soggezione, rispetto ed aspettativa.
Ed è questo che è successo a me iniziando "La voce del fuoco".
Come descrivere un libro del genere? Penso sia quasi impossibile spiegare veramente cosa "la voce del fuoco" sia, per certi versi è altrettanto difficile assimilarne l’essenza ad una sola lettura.
Superficialmente stiamo parlando di un concetto quasi semplice: prendiamo un luogo come Northampton (residenza di Moore) e viaggiamo a ritroso nel tempo, fermandoci a 4000 anni Avanti Cristo e cominciamo a scoprire la vita di qualcuno dell’epoca; poi torniamo ad avvicinarci, 1500 anni dopo, e sbirciamo anche qui uno scorcio di vita… ed ancora… ed ancora…. in un viaggio inquietante e turbolento che si fermerà in casa dell’autore stesso, nel 1995.
Ed ogni capitolo non ci racconta le vite di coloro che andiamo a sbirciare: ogni capitolo si svolge nella loro mente, ci fa entrare nei loro pensieri, usa le loro parole, in un esperimento linguistico e stilistico senza pari.
Ma anche questo non basta a descrivere il contenuto del libro: Moore si è autodefinito sciamano ed il suo romanzo si concentra sulla magia, esplicita od implicita, sulla meraviglia e sull’orrore, sull’odio e sull’amore e sul loro crescere, diminuire o modificarsi nel corso dei millenni.
Moore ci porta nella mente degli essere più disparati: un ragazzo delle caverne ritardato ed emarginato, una ladra d’identità, un crociato disilluso, un bastardo di prima categoria, due giovani streghe innamorate e compagne di vita ed, infine, se stesso, anello di congiunzione tra l’inizio e la fine della storia; e se un autore "normale" riporterebbe i loro pensieri con la propria voce, Moore fa di più: si fa tramite per la voce di quelli che sono di volta in volta i protagonisti; la loro voce, i loro pensieri, la loro lingua riportata alla luce dallo sciamano.
Moore ci racconta come nulla si perda, come la storia stessa si tramandi nei millenni non nei racconti, non negli scritti, ma nell’inconscio di persone lontane come epoca ma non come essenza.
Un libro diffiicile, lento, che fa sentire piccoli e stupidi e che probabilmente andrebbe riletto tante volte prima di andare sotto la superficie.
Brutto? Assolutamente no, anzi.
Difficile? Parecchio.
Consigliato? Se non vi ho spaventati, sì.
L’unico capitolo che effettivamente ho trovato lento (e doveva esserlo, visto il modo in cui era sviluppato) è proprio il primo, quello del cavernicolo.
Ringrazio il cielo per non aver avuto l’idea di leggerlo in inglese.
Però è poesia pura.
E hai ragione, fa sentire molto piccoli, a volte indifesi, altre volte commossi per la bellezza e il sinistro fascino di ciò che ci sta intorno, che non abbiamo visto e ciò che non vedremo mai.
Ok, ora non mi resta che dirti di andarci piano con Momo:)
Ci tengo un casino a quel libro, me lo regalò una carissima amica, e a tutt’oggi lo tengo in una tasca interna, vicino al cuore, protetto da una custodia a prova di agenti esterni, dentro il mio cappotto preferito(sì, proprio la copia a cui appartiene la copertina che hai postato 😉
Farò il possibile (ma non mi sembra sia necessario per ora 😉 )